Diritto Raguseo

Note al libro Ottavo (normativa varia) del Liber Statutorum di Ragusa e sua traduzione

 

cennu sull'ordinamento raguseo

Libro ottavo
L’ottavo libro dello Statuto di Ragusa contiene norme assai diverse per oggetto e anche successive al 1272. Si possono, tuttavia, individuare alcune masse omogenee e specie in materia processuale civile e in materia di risarcimento da fatti illeciti.
Si ritrovano in disordine le più varie norme di diritto pubblico: monetazione con sistema dodecimale e repressione delle falsificazioni; usura, oltre il 6% annuo proibita nel 1279 con salvezza delle precedenti convenzioni; ricostruzione e urbanistica della città successivamente all’incendio devastante del 1296; obblighi degli abitanti in caso di incendio; normativa sul sale e marittima riguardo la navigazione di conserva e la ripartizione dei danni; fino a normativa datata 1394 e al recepimento del trattato con cui ai cittadini di Ragusa venivano riconosciuti i diritti spettanti ai veneziani.

Cristiano Caracci

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1. Giuramento del socio del Conte che siede in Minor Consiglio.
Giuro sui Santi Vangeli di Dio che, in buona fede senza frode e cattivo ingegno, giudicherò con i giudici tutte le causa portate avanti a me di valore fino a cinque iperperi o meno, secondo la procedura del Minor Consiglio. E non riceverò né farò ricevere denaro per le cause da me giudicande, e se fosse accettata qualcosa per me da alcuno, e io lo sapessi, la farò restituire in buona fede senza frode e su tutto ciò che il signor conte mi ordinerà di tenere il segreto, lo manterrò. E non andrò a bere o a mangiare con alcuno o alcuna che avesse una causa avanti a me, in nessun modo o ingegno finché la causa non sarà terminata. E non aiuterò l’amico né nuocerò al nemico con la frode. E giudicherò secondo l’uso della città di Ragusa salva la forma dello statuto del Minor Consiglio. E tratterrò quella causa che il nostro signor conte mi vietasse per il bene della città, finché egli me lo ordinerà. E siederò ogni giorno con i giudici per giudicare. E la domenica siederò per tenere udienza e fare giustizia solo per gli abitanti delle isole, dei paesi e per i forestieri. E in nessun documento mi indicherò come testimone se non nelle sentenze che pronuncerò con i giudici, finché rimarrò con essi in Curia. E a colui il quale fosse data l’occasione avanti a me e volesse partire a buon diritto, farò fare il documento della sentenza se la chiederà.

2. Giuramento dei giudici del Minor Consiglio.
Giuro sui Santi Vangeli di Dio che, in buona fede senza frode e cattivo ingegno, giudicherò tutte le cause che verranno portate avanti a me del valore fino a cinque iperperi con il socio del signor conte, secondo la forma sotto dichiarata. E non riceverò né farò ricevere denaro per le cause da me giudicande, tranne un quarantesimo del valore; e se qualcosa fosse accettata per me da qualcuno e lo sapessi, la farò restituire in buona fede senza frode. E su tutto ciò che il signor conte mi ordinerà di tenere il segreto, lo manterrò. E non andrò a bere o a mangiare con alcuna o alcuno che avesse una causa avanti a me, in nessun modo o ingegno, finché sarà terminata. E non aiuterò l’amico né nuocerò al nemico con la frode. E giudicherò secondo l’uso della città di Ragusa salva la forma sotto descritta. E tratterrò quella causa che il nostro signor conte mi vietasse per il bene della città, finché non me lo ordinerà. E siederò ogni giorno con il socio del signor conte e gli altri miei soci o senza il socio, se il signor conte volesse, per giudicare. E la domenica siederò e terrò udienza e farò ragione solo agli abitanti delle isole, dei paesi e per i forestieri. E in nessun documento mi indicherò come testimone e giudice, se non in quelle sentenze che pronuncerò con i miei soci, finché sarò giudice; e a chiunque fosse data l’occasione avanti a me e volesse partire a buon diritto, farò fare il documento della sentenza se lo chiederà, nulla ricevendo.

3. Tre giudici da eleggere.
Statuiamo che ogni anno siano eletti tre giudici i quali con il socio del signor conte ascolteranno e definiranno tutte le cause del valore fino a cinque iperperi, cioè inferiori, secondo la forma dello statuto e dei suoi capitoli.

4. Quali giudici del Minor Consiglio giudicano.
I giudici che al tempo fossero eletti in Minor Consiglio, dovranno giudicare su tutto con il socio del signor conte. E se vi fosse questione sulle vigne, terre e macerie esistenti fuori dalla città, del valore fino a dieci iperperi, saranno tenuti a compiere un sopralluogo per vedere e giudicare: e ciò che giudicheranno, sarà fermo ed essi di ciò riceveranno un quarantesimo. E chi perderà la causa, pagherà tutte le spese, a meno che non si accordi volontariamente.

5. Avvocati del Minor Consiglio.
Statuiamo che due avvocati siano eletti in Minor Consiglio, uno dei quali dovrà assistere e difendere una parte, e l’altro l’altra. E nessuno di essi per la causa della quale fosse avvocato, potrà ricevere se non mezzo grosso per causa; e finché sarà pendente la causa, non berrà né mangerà con nessuna delle parti finché la lite non terminerà. E difenderanno legalmente in tutte le cause in cui fossero nominati avvocati, e non aiuteranno chi pronuncerà falso giuramento o chi introdurrà testi falsi.

6. Rinvii da concedere in Minor Consiglio.
Il convenuto o la convenuta in causa per un iperpero o meno, non potrà ottenere alcun rinvio, ma dovrà replicare subito. Ma da un iperpero a due avrà un rinvio di tre giorni, trascorsi i quali non potrà avere un rinvio. Tuttavia da due a cinque avrà un rinvio di otto giorni, trascorsi i quali non potrà avere un rinvio; avrà però la licenza di ricusare uno dei giudici, se avesse un sospetto, tuttavia gli altri giudici con il socio del signor conte procederanno in causa. Invero chi converrà un altro per detto valore, non potrà ricusare alcuno dei giudici.

7. Donna convenuta per un debito che essa abbia contratto.
Se una donna sposata o vedova sarà convenuta in giudizio per un debito che essa abbia contratto o per cui abbia prestato fideiussione, per cinque iperperi o meno, sarà tenuta a replicare secondo la forma sopra descritta, e non potrà avere altro rinvio né attendere un avvocato estraneo.

8. Donna convenuta per un debito del marito.
La donna sposata se convenuta in giudizio per un debito del marito, non sarà tenuta a replicare, se non fosse obbligata per questo debito.

9. Donna convenuta per un debito che non abbia contratto.
Alla donna vedova convenuta in giudizio da due iperperi fino a cinque sul debito che essa non abbia contratto o per cui non abbia dato fideiussione, se avesse il padre, il figlio, il fratello o il genero, e chiedesse di essere difesa da essi, si darà un rinvio per attenderli da due mesi in giù, cioè inferiore, a discrezione dei giudici.

10. Convenuto già in viaggio.
A colui che dopo essere partito in viaggio, sarà convenuto in giudizio e non per il presente viaggio, la Curia darà un termine, entro il quale possa andare in viaggio, e al ritorno sarà tenuto comunque a replicare.

11. Coloro che non possono ricusare la Curia.
Nelle cause fino a cinque iperperi nessuno può ricusare la Curia né gettarsi a terra.

12. I giudici non mangeranno o berranno con le parti litiganti avanti a loro.
Per evitare ogni sospetto statuiamo che i giudici, finché dura il loro incarico, non vadano a mangiare né a bere, in alcun modo o ingegno, con colui o colei o con persona a loro sottoposta, che siano parti in una causa avanti a loro, dal giorno dell’inizio fino alla fine.

13. Ciò che devono ricevere gli avvocati.
Gli avvocati del Maggior Consiglio non devono ricevere in alcun modo o ingegno da nessuno per ogni causa se non un denaro grosso. Tuttavia gli avvocati del Minor Consiglio soltanto mezzo grosso, e non potranno mangiare né bere con alcuna persona che abbia una causa avanti i giudici.

14. Incaricati di un ufficio che vanno in viaggio.
Affinché il diritto degli uomini non venga ritardato e si estingua a causa dell’assenza degli incaricati, statuiamo: se alcuno che avesse un ufficio andasse a Durazzo od oltre, in Puglia od oltre, a Spalato od oltre, in Rassia o in Bosnia, perderà l’incarico, e un altro sarà eletto al suo posto.
Il giorno 16 dicembre, anno 1305, indizione terza, dal nobile Benedetto Falliero, conte di Ragusa, con la volontà del suo Minor e Maggior Consiglio, con la lode del popolo in pubblica adunanza riunito al suono della campana, fu aggiunto tale statuto sugli incaricati ad un ufficio: Fu deciso e confermato che chiunque fosse eletto giudice dal signor conte in Maggior Consiglio, e andasse fuori distretto di Ragusa entro i confini, come nel soprascritto capitolo sugli incaricati di un ufficio, e rimanesse per un mese intero di trenta giorni, sarà esonerato da tale ufficio e un altro giudice verrà eletto in suo luogo. E anche tale giudice eletto dovrà giurare sui Santi Vangeli di Dio che non uscirà da Ragusa a causa del suo ufficio per un mese, se non in occasione di suoi affari.

15. Coloro che possono ricusare.
Chi è in causa può ricusare il padre, il figlio, lo zio da parte di padre e madre, il cugino, il cognato, i nipoti, ossia i figli del fratello e della sorella, il suocero e il genero.

16. Dodici denari per un iperpero.
Statuiamo che d’ora in poi dodici denari grossi fanno un iperpero e centoventi milliaresimi un iperpero. E nessuno potrà rifiutare detti follari per un iperpero, sotto pena di un grosso per iperpero.

17. Caparre.
Se alcuno abbia contrattato con un altro e per tale contratto abbia dato la caparra di un follaro, tale contratto sarà comunque valido e non si potrà pentire. Se tuttavia  abbia dato due follari o più o qualcos’altro per caparra, si potrà pentire, tuttavia sarà tenuto a restituire la caparra duplicata.

18. Supervisori degli operai del Comune.
Il signor conte che vi fosse al tempo, col Minor Consiglio ogni anno nominerà tre supervisori degli operai del Comune, a cui darà annualmente cinquanta iperperi dei denari della dogana, finchè sarà completato il muro della città.

19. Espulsi dal Consiglio quando si tratti un fatto speciale.
Decidiamo che ogni volta che vi sia Consiglio su un fatto riguardante una persona speciale, sia l’interessato che i suoi consanguinei, che saranno esclusi come testimoni, saranno espulsi dal Consiglio, e il conte sarà tenuto ad espellerli.

20. Come possono essere abrogati gli ordinamenti.
Gli statuti e gli ordinamenti che furono decisi non possono essere abrogati o revocati se non nel modo in cui furono confermati e ordinati, cioè: quelli decisi dal Maggior Consiglio non possono essere revocati se non dal Maggior Consiglio, quelli decisi dall’arengo saranno sciolti solo dall’arengo.

21. I giudici del Minor Consiglio non possono sedere né dare consulenze su colui che agisce verso un altro ecc…
Noi Paolo Morosini, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono della campana in Piazza come al solito riunito, statuiamo e confermiamo che, se un giudice del Minor Consiglio agirà per qualcosa o muoverà una questione verso un altro in Minor Consiglio, o se alcuno agirà per qualcosa o muoverà una questione verso un altro giudice del Minor Consiglio, quel giudice che agisce o che viene convenuto, non dovrà giudicare né dare consulenza al socio signor conte né agli altri giudici per tale questione. E sia chi agisce verso quel giudice, che il giudice convenuto, non  possono ricusare nessuno degli altri giudici per tale questione.

22. Fede del documento notarile e pena per i contravventori.
Nell’anno del Signore 1275, indizione terza, l’8 giugno. Noi Pietro Paolo Tiepolo, illustre figlio del signor doge, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza riunitio al suono della campana, come al solito, statuiamo e ordiniamo che per tutti e per i singoli contratti che siano a credito ad un certo termine in città o nel distretto di Ragusa, per qualunque merce da dieci iperperi e oltre, colui che avrà ricevuto il credito sarà tenuto a rilasciare al venditore un documento notarile entro otto giorni dal contratto. E il venditore delle merci a credito, sarà tenuto a farsi dare detto documento entro detto termine. E chi contravverrà, sia il compratore che il venditore, pagherà ciascuno per multa dieci iperperi, la cui metà andrà al Comune, e l’altra metà all’accusatore.

23. Danni ad animali e bestie.
Volendo provvedere ai danni che si verificano nelle terre e nelle vigne, sia nelle isole che in altri luoghi nel distretto di Ragusa, statuiamo che animali o altre bestie provocheranno un danno alle terre o vigne lavorate, e il padrone di tali terre o vigne potrà prendere detti animali o bestie nelle sue terre o vigne o potrà provare detto danno legittimamente, il padrone di detti animali o bestie sarà tenuto e dovrà soddisfare del danno il padrone delle vigne, e pagare per multa ogni volta due iperperi, di cui la metà andrà al Comune, e l’altra metà al padrone delle terre o vigne.
Se tuttavia non saprà di chi sono detti animali o bestie, allora chi abita nel casale più vicino a quelle terre o vigne in cui si è verificato il danno, ossia gli abitanti che avessero animali o bestie, saranno tenuti e dovranno soddisfare per il danno il padrone delle terre o vigne e pagare per multa ogni volta due iperperi, di cui la metà andrà al Comune, e l’altra metà al padrone delle terre o vigne, in cui si è verificato il danno. E tutti i danni dovranno essere stimati dai probiviri che il signor conte con la sua Curia vorrà eleggere.

24. Danni arrecati alle vigne, alberi e frutti.
Affinchè si abbia una maggior custodia sulle vigne e altro, vogliamo e ordiniamo che se sarà arrecato un danno, nelle isole come in Astarea e in tutto il distretto di Ragusa nelle vigne, frutti e alberi, tanto gli abitanti dei casali quanto coloro che lavorano la terra o la vigna a parte, cioè coloro che abitano nella contrada dove sia arrecato il danno, saranno tenuti e dovranno indicare coloro che avranno arrecato detto danno; se non li indicheranno saranno tenuti a risarcire tutto il danno al padrone a cui il danno fu arrecato secondo la stima dei probiviri, che il signor conte con la sua Curia fece eleggere. Tale danno, se fosse fatto nella Città Vecchia, a Belen e fino a Molina sarà risarcito dagli uomini di tale contrada. Se a Breno, Subbreno e Chivaci, il danno sarà risarcito dagli uomini di quella contrada. Se a Giuncheto e Vergato, il danno sarà risarcito dagli uomini di quella contrada. Se a Gravosa, il danno sarà risarcito dagli uomini di quella contrada. Se a Ombola, il danno sarà risarcito dagli uomini di quella contrada. Se a Malfo o Palliza, il danno sarà risarcito dagli uomini di quella contrada. Se in qualche isola, il danno sarà risarcito dagli uomini dell’isola in cui si sia verificato il danno. E tutti i danni dovranno essere risarciti dagli abitanti dei casali e dagli operai se non indicheranno coloro che abbiano arrecato il danno, come detto sopra.
Il giorno 10 dell’entrante mese di febbraio, 1300, edizione tredicesima, dall’onorevole Andrea Dauro, conte di Ragusa, e dal suo Minor e Maggior Consiglio e in pubblica adunanza fu lodato e confermato: dal momento che molti danni e furti si sono verificati nel distretto di Ragusa al legno delle capanne e delle pergole, dei quali danni e furti non si è potuta sapere la verità, né tali danni sono stati risarciti, d’ora in poi tutti i danni arrecati al legname delle piazze e i furti nelle pergole e del legname, dovranno essere risarciti da tutti gli uomini di quelle contrade ove detti danni si sono verificati o fatti, secondo il modo e la forma dello statuto fatti sui danni nelle vigne e nelle  terre del distretto di Ragusa, come nel presente Statuto sopra scritto.

25. Nessuno potrà uscire da Ragusa per una causa.
Nell’anno del signore 1278, indizione sesta, il mese di marzo.
Noi Marco Giustiniano, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo riunito al suono delle campane in pubblica adunanza, come al solito, non volendo sopportare che l’onore del governo della città di Ragusa sia attribuito ad altri, statuiamo e ordiniamo che ogni Raguseo convenuto in Curia da un altro Raguseo, non potrà per un’altra causa uscire dalla città di Ragusa verso altra città o luogo, ma sarà tenuto a replicare a Ragusa e a compiere giustizia, secondo tutte le consuetudini di Ragusa.

26. Come devono pagare coloro che vanno insieme in viaggio.
Nell’anno del Signore 1278, indizione sesta, il giorno 23 del mese di luglio. Noi Marco Giustiniano, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo riunito in pubblica adunanza al suono delle campane, come al solito, statuiamo e ordiniamo: se più uomini vanno in viaggio, e tutti siano indicati in un documento notarile, se si siano fatti debitori di alcuno, e alcuno di essi, uno o più, venissero a Ragusa, saranno tenuti per tutti gli altri soci a replicare e pagare e fare giustizia ma tutto ciò che sarà pagato sarà di tutta la società. Tranne che detti debitori siano stati derubati e ciò sia acclarato, allora ciascuno sarà tenuto a rispondere la sua parte.

27. Nessuno può mutuare ad usura e pena per i contravventori.
Nell’anno del Signore 1279, indizione sesta, il 9 gennaio. Noi Marco Zeno, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo riunito in pubblica adunanza al suono delle campane, come al solito, considerando che l’usura vorace consuma e divora i beni dei cittadini e massimamente la sostanza dei poveri, e per ciò Dio viene offeso, il prossimo leso e minacciato il buono stato della Repubblica, volendo ovviare a tanta malizia, statuiamo e precisamente confermiamo: nessuna persona a Ragusa deve mutuare a usura, e chi contravverrà, ogni volta pagherà per multa venti iperperi al Comune, e inoltre perderà tutto ciò che avrà mutuato a usura; la metà della multa, se ciò si potrà provare legittimamente, andrà all’accusatore. E i giudici e i consiglieri del Minor Consiglio, che vi fossero al tempo, saranno tenuti ad accusare col giuramento tutti coloro che sapranno mutuare a usura. Né è nostra intenzione che il presente statuto rechi pregiudizio ai documenti notarili fatti e da fare, contenenti una penale o l’usura da cinque a sei per anno, ma tutti i documenti notarili nel capitale e nella penale ossia nell’usura da cinque a sei all’anno avranno validità perpetua.

28. Come si deve fare giustizia per i crediti del Comune e per chi si deve spendere il denaro del Comune.
Volendo che i diritti del Comune procedano ordinatamente e che sia eliminato ogni sospetto che possa sorgere, statuiamo e confermiamo, che il signor conte, che vi fosse al tempo, e i giudici e i consiglieri del Minor Consiglio debbano alle calende di ciascun mese entro il terzo giorno del mese entrante, ascoltare i motivi delle entrate ed uscite dai camerari del Comune. E tutto il denaro del Comune dovrà essere speso per mano dei camerari del Comune. E due dei giudici o consiglieri del Minor Consiglio, insieme coi camerari del Comune dovranno ascoltare le ragioni di coloro che ricevono e spendono il denaro del Comune. E qualunque dei giudici e dei consiglieri o dei camerari venisse convocato con la campana o tramite nuncio del signor conte, e non venisse a fornire le ragioni predette, ogni volta sarà tenuto a pagare al Comune un denaro grosso. Tranne che fosse scusato da un legittimo impedimento, il quale impedimento fosse conosciuto dal signor conte.

29. Chi è minorenne non può fare testamento e minorenne che riceve beni.
Anno del Signore 1280, indizione ottava, 11 luglio. Noi Marco Zeno, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo riunito in pubblica adunanza al suono delle campane, come al solito, statuiamo: una persona minorenne, ossia un maschio prima dei quattordici anni, una femmina prima dei dodici anni, in nessun modo potrà fare testamento né disporre dei suoi beni. E allo stesso modo intendiamo, se una donna entrasse con la corona o senza in casa del marito, prima della maggiore età non potrà fare testamento né altra disposizione, ma tutti i beni di ciascuna persona che morisse minorenne, verranno devoluti ai prossimi congiunti; e intendiamo prossimi congiunti in questo e in qualunque altro caso, ossia che fossero da quella linea di parentela da cui provengono detti beni del defunto; salvi sempre gli ordinamenti o testamenti e le obbligazioni fatti dagli avi del defunto dei quali fossero detti beni.

30. Come devono essere detenuti i debitori.
Volendo che le intenzioni dei creditori siano meglio compiute, statuiamo: se alcuno fosse debitore di un altro e non avesse beni sufficienti a soddisfare il creditore, il signor conte che al tempo vi fosse dovrà assegnare la persona del debitore al creditore, se il creditore lo vuole ricevere. E se il creditore non vuole riceverlo, il signor conte dovrà incarcerarlo nel Castello, finché avrà pagato il debito o vi sarà un accordo col creditore. Se il debitore fuggirà dal Castello, il signor Conte farà detenere il debitore in una cella finché avrà pagato il debito o vi sarà un accordo col creditore per il detto debito. Se tuttavia il debitore fuggirà dalla cella, il signor conte dovrà detenere il debitore in carcere finché avrà pagato il debito o vi fosse un accordo col creditore per il debito ricordato.

31. Come devono essere soddisfatti coloro che vendono le loro proprietà.
Per non penalizzare le vendite, statuiamo che, se una persona venderà la casa o la vigna o la terra o altra proprietà immobiliare, il compratore dovrà pagare al venditore il prezzo della cosa venduta entro il termine stabilito senza rinvio. Se non pagherà, vogliamo che i beni del compratore siano venduti dai probiviri che saranno eletti dal signor conte con la sua Curia, per la quantità che soddisferà integralmente il venditore per il prezzo della cosa venduta. E se le proprietà non fossero sufficienti a soddisfarlo, la persona del debitore sarà detenuta in Castello finché pagherà. E se il compratore fuggirà dal Castello, il compratore dovrà essere detenuto in carcere dal signor conte finché il venditore sarà integralmente soddisfatto.

32. La donna sotto potestà maritale non si può obbligare per un debito superiore a cinque iperperi.
Poiché sempre più spesso accade che i mariti inducano le mogli a contrarre debiti, statuiamo che nessuna donna sotto potestà maritale può obbligarsi per alcun debito superiore a cinque iperperi, sia che il marito consenta, o meno. E se l’obbligazione di una moglie fosse superiore a cinque iperperi, vivente il marito, non vi sarà alcun pregiudizio per tale motivo alla dote e ai beni dotali di tale moglie.

33. Rinvio che può ottenere il convenuto su un testamento.
Volendo che le intenzioni dei defunti siano velocemente portate ad effetto, decretiamo che il convenuto in causa su un testamento, non abbia un rinvio se non soltanto di otto giorni, trascorsi i quali, replicherà comunque.

34. Il vicario non abbia l’iperpero dai conti delle isole.
Si dice che l’antica consuetudine stabilisca che i conti delle isole del Comune di Ragusa, diano al vicario un iperpero; revocando completamente tale consuetudine statuiamo che i conti che al tempo fossero al Comune di Ragusa, sia nelle isole che ad Astarea, non saranno tenuti a dare nulla al vicario.

35. Come devono essere risarciti e pagati i danni da incendio delle capanne.
Se una capanna sarà bruciata nel distretto di Ragusa, sia nelle isole che ad Astarea, e non si troveranno i malfattori che appiccarono il fuoco, statuiamo che il danno derivato alla capanna e alle cose in essa poste e agli alberi e alle viti intorno alla capanna, dovrà essere risarcito dagli uomini di quella contrada. Il danno dovrà essere stimato dagli stimatori che il signor conte con la sua Curia avrà eletto, tuttavia, qualsiasi capanna con beni all’interno non dovrà essere stimata più di cinque iperperi. Se il danno sarà stato arrecato in qualche isola sarà risarcito dagli uomini di quell’isola. Se nella Città Vecchia e a Belem e fino a Molendina, il danno sarà risarcito dagli uomini di quella contrada. Se a Breno e Subbreno e Chivaci, il danno sarà risarcito dagli uomini di quelle contrade. Se a Gravosa, il danno dovrà essere risarcito dagli uomini di quelle contrade.
Corrente l’anno del Signore 1300, nel mese di settembre, indizione tredicesima, nella festa di San Michele, dall’onorevole signore Andrea Dauro, conte di Ragusa, con la volontà del suo Minor e Maggior Consiglio, con la lode del popolo in pubblica adunanza riunito al suono della campana, fu aggiunto tale statuto sulle capanne, per cui d’ora in poi per ogni furto nelle capanne di legno, nelle vigne e pergole in tutto il distretto della città di Ragusa, il danno dovrà essere risarcito dagli uomini di quella contrada, se il ladro non si troverà, secondo la forma del capitolo sulle capanne soprascritto.

36. Termine per accusare.
Nell’anno del Signore 1281, indizione ottava, 26 gennaio.
Noi Nicola Morosini, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza riuniti al suono delle campane, come al solito, statuiamo e confermiamo, che se si vuole accusare alcuno di un reato, sia per tutte le malefatte che le ingiurie, danni, furti e ruberie fatte nella città di Ragusa, l’accusa si dovrà presentare entro tre giorni dalla conoscenza del fatto. Se tuttavia detto reato fosse stato commesso fuori da Ragusa nel distretto, si dovrà presentare l’accusa entro otto giorni dalla conoscenza del fatto; e chi abbia taciuto e non abbia presentato l’accusa, successivamente non sarà ascoltato. Tuttavia il signor conte con i suoi giudici potranno indagare per ogni reato, quando e come vorranno.

37. Termine entro cui si può domandare ragione di una costruzione di pietra e calce.
Non volendo che a causa del trascorrere del tempo il diritto di alcuno perisca per ignoranza, statuiamo, che se in casa o nel suo territorio alcuno abbia eretto una costruzione di pietra e calce, e tale costruzione abbia recato pregiudizio ad alcuno, questi potrà convenire in giudizio e chiedere ragione entro otto giorni dalla conoscenza della costruzione fatta e se tale costruzione non fosse terminata. E se entro detto termine tacerà e non chiederà ragione, non potrà ulteriormente chiedere nulla per tale costruzione.

38. Pena per la mancata comparizione avanti il signor conte e la sua Curia su loro ordine.
Volendo ovviare alle malizie di chi vuole ritardare il diritto altrui, affinché ciascuno arrivi a conseguire la sua ragione, statuiamo che se alcuno sarà precettato a venire a rispondere avanti il signor conte e ai suoi giudici e rimarrà contumace rispetto al primo precetto notificatogli, pagherà al Comune per multa due denari grossi. E se fosse contumace per il secondo precetto, pagherà al Comune per multa quattro denari grossi. Se tuttavia fosse precettato in Minor Consiglio, il contumace pagherà un denaro grosso. Per il terzo precetto, sia in Maggior che in Minor Consiglio, se colui cui fu notificato il precetto rimase contumace, si proceda nei suoi confronti secondo la forza dello Statuto e le consuetudini di Ragusa secondo giustizia.

39. Rinvio di tre giorni da concedere alla società.
Nell’anno del Signore 1282, indizione decima, 13 gennaio.
Statuiamo che se alcuno fosse convenuto in giudizio per una società costituita a Ragusa, se detta società fosse su beni mobili, non potrà avere un rinvio per replicare se non soltanto di tre giorni, trascorsi i quali sarà tenuta in ogni caso a replicare.

40. Per il contratto stipulato senza termine non si avrà nessun rinvio.
Ciascuno convenuto in Curia su un contratto stipulato senza termine non avrà alcun rinvio per replicare, ma dovrà replicare subito.

41. Rinvio al convenuto in giudizio sull’espulsione della moglie, della figlia o della sorella.
Ordiniamo che se la moglie o la figlia o la sorella di alcuno, fosse espulsa da casa e convenisse in giudizio colui o colei che l’abbia espulsa, il convenuto o la convenuta non potrà avere un rinvio per replicare se non di otto giorni soltanto, trascorsi i quali sarà tenuto a rispondere in ogni caso.

42. Pupilli, beni e tutori dei pupilli.
Volendo provvedere con il presente statuto ai beni di coloro che, sposati, muoiono senza testamento, nell’interesse dei pupilli, ordiniamo che se chi ha moglie morirà senza testamento, due giudici giurati con il notaio del Comune andranno a casa del defunto e inventarieranno tutti i suoi beni mobili e immobili, ovunque li trovino, singolarmente e distintamente come si trovano, in un libro che dovrà restare sempre nelle mani del tesoriere della chiesa di Santa Maria Maggiore. E se successivamente si trovassero beni di detto defunto, si inventarieranno sempre in detto libro, come detto. E la moglie, avanti ai giudici e al notaio, dovrà giurare di avere mostrato tutti i beni di suo marito. Tuttavia inventariati i beni come sopra, se il defunto avesse un erede o eredi maschi il signor conte di Ragusa che vi fosse al tempo, col Minor Consiglio nominerà i due migliori e più utili tutori che vorrà. I quali tutori, giurato di adempiere all’ufficio di tutore secondo legge e senza frode, affideranno insieme tutti i beni mobili del defunto alla predetta moglie. Detta moglie dovrà essere similmente tutrice con essi per ogni necessità, e dovrà custodire e conservare e incrementare nell’interesse degli eredi. E quando alcuni degli eredi, uno o più, saranno maggiorenni a quattordici anni, dovranno insieme con detti tutori amministrare detti beni finché i beni perverranno nelle loro mani, come sotto verrà indicato. E detti tutori dovranno fare di tutti i beni retta e giusta divisione quando detti eredi o erede del defunto, uno o più, avranno diciotto anni, se al signor conte e al detto Consiglio sembrerà che detti eredi, uno o più, siano in grado di bene amministrarli. Se tuttavia sembrerà al signor conte e al Consiglio che detti eredi, pure di tale età, non siano in grado di amministrarli, i tutori dovranno tenere i beni finché il signor conte e il predetto Consiglio riterranno. I tutori dovranno fare la predetta divisione secondo legge con giuramento agli eredi, come detto, salvo se gli eredi potranno provare il contrario per documenti o per testimoni legittimi. E tale divisione gli eredi, uno o più, che conseguirono i beni, saranno tenuti a farla agli altri eredi quando avranno diciotto anni, con tutte le condizioni soprascritte. Quanto sopra scritto sui tutori avrà luogo, eccetto se al tempo della morte del marito ci fossero eredi maschi, uno o più, della età di diciotto anni, e al signor conte e al suo Consiglio sembrerà che i beni debbano essere assegnati con tutte le condizioni sopradescritte; e allora in detto caso non saranno nominati i tutori. Se tuttavia gli eredi non sembreranno idonei ad amministrarli, il signor conte e il Consiglio, allora dovranno nominare i tutori che saranno tenuti in tutto a fare come detto. E si intende che tutte le cose di cui sopra varranno se ci sono eredi maschi. Tuttavia, se ci fossero eredi femmine, in ogni caso i tutori dovranno custodire e tenere i beni finché le femmine si sposeranno, secondo la consuetudine di Ragusa. Aggiungiamo anche che i tutori non potranno formare un documento notarile sui beni, se in tale documento non saranno contenuti i nomi e i rappresentanti di detti eredi. E se gli eredi, uno o più, morissero prima della maggiore età, ossia il maschio prima dei quattordici anni, la femmina prima dei dodici anni, o se gli eredi maggiorenni morissero senza testamento, i beni andranno a coloro che succederanno loro di diritto. E allora i tutori ai successori e i successori l’uno verso l’altro saranno tenuti a fare come detto. Né è intenzione nostra che i beni siano portati fuori da Ragusa finché gli eredi o successori maschi diventassero maggiorenni a quattordici anni. Tuttavia diventando uno o più di tali eredi maggiorenni a quattordici anni, se ad essi e ai tutori sembrasse che i beni o denari debbano andare agli eredi o successori, o mandati ad altri fuori Ragusa, dovranno venire dal signor conte e dal Consiglio sopraddetto e come ordinerà il signor conte con detto Consiglio, sarà fatto. Se tuttavia alcuno dei tutori morisse prima che fosse fatta la divisione di detti beni, gli eredi o successori del tutore defunto dovranno fare per giuramento la divisione, secondo la loro buona coscienza. E chiunque fosse nominato tutore non potrà rifiutare sotto pena di venticinque iperperi da pagare al Comune di Ragusa.
Corrente l’anno del Signore 1334, indizione seconda, 8 maggio, dal nobile e potente signor Marco Giustiniani, onorevole conte di Ragusa, per volontà ed espresso consenso del suo Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane come al solito riunito, fu dichiarato e aggiunto tale statuto sui tutori, che da ora in poi i tutori dei pupilli e delle pupille convenuti in giudizio saranno tenuti a replicare a tutti secondo diritto per tali pupilli o pupille, e soddisfare con i beni dei pupilli, se così deciso dalla Curia.

43. Donna che debba possedere i beni di suo marito dopo la morte di lui.
Poiché vogliamo che la donna che possiede il letto del marito debba avere ciò che è giusto, la donna possedendo il letto del marito, possiederà tutti i beni immobili del marito per tutta la vita. Tuttavia non li potrà vendere né donare né alienare né assumere alcuna obbligazione sui beni del marito. Se i beni non fossero sufficienti per la vita della moglie o se non vi fossero beni immobili ma solo mobili, allora i tutori, se vi fossero, o i commissari ossia gli esecutori testamentari del marito dovranno aggiungere o dare alla moglie mobili, affinché abbia una vita dignitosa, se essi si potranno accordare con la moglie. Se tuttavia i tutori o commissari o esecutori non si accorderanno con la moglie, il signor conte con il Minor Consiglio, considerate tutte le condizioni della moglie, farà aggiungere e dare mobili per mantenersi, come sembrerà meglio. Tuttavia se non vi fossero che immobili e tali beni fossero pochi e al signor conte e a detto Consiglio sembrerà che la moglie non possa vivere con i redditi di tali beni immobili, in tal caso vogliamo che la moglie possa vendere i beni immobili per mantenersi, secondo quanto ordinato dal conte e detto Consiglio. Aggiungiamo anche che ogni moglie che possieda il letto del marito, dovrà giustamente e fedelmente potare e lavorare le vigne secondo la consuetudine di Ragusa. Tuttavia ordiniamo che per i beni mobili, ogni uomo potrà disporre e rimetterli nelle mani di chiunque vorrà secondo la consuetudine di Ragusa nell’interesse dei suoi eredi, se avesse eredi. Se tuttavia non avesse eredi, potrà disporre e dare i suoi beni a sua volontà, secondo la consuetudine di Ragusa e gli Statuti.

44. Nessuno, avvocato o altro, potrà ricevere per una causa più di un denaro grosso e pena per i contravventori.
Nell’anno del Signore 1283, indizione undicesima, 25 luglio. Noi Giovanni Zorzi, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza riunito al suono delle campane, come al solito, volendo che nelle questioni o cause da proporre in Curia ciascuno possa far valere le sue ragioni senza un gravame di spese indeterminato, siccome vengono sempre eletti avvocati della Curia per il bene e l’utilità della città, statuiamo e ordiniamo che nessuno, in alcun modo o ingegno, dovrà dare o ricevere, in occasione della difesa in causa o consulenza nella nostra Curia, più di un denaro grosso per causa. E gli avvocati della Curia saranno tenuti per giuramento a dire al signor conte se sapranno che alcuno abbia contravvenuto a ciò. E se alcuno, eccetto gli avvocati della Curia, volesse difendere o dare consiglio a una persona in una causa, sarà tenuto a giurare di non avere ricevuto né sperare di ricevere in alcun modo e ingegno per sé né per altri, nulla oltre un denaro grosso per detta causa. E similmente la persona che volesse difendere o a cui volesse dare consiglio, sarà tenuta a giurare di non aver dato o di dover dare, per sé o per altri in nessun modo o ingegno per detta causa più di un denaro grosso. E affinchè ciò sia meglio osservato, ordiniamo che chiunque contravverrà sia nel dare che nel ricevere, pagherà per ogni volta al Comune per multa cinquanta iperperi. Se tuttavia fosse l’avvocato della Curia a contravvenire pagherà ogni volta al Comune per multa cento iperperi, e detto avvocato non potrà avere ulteriori incarichi. E chiunque accuserà il contravventore, se potrà legittimamente dare la prova, avrà la metà di detta multa, e sarà creduto l’accusatore.

45. I giudici non ricevano alcunché e pena per i contravventori.
Statuiamo che un giudice non debba in alcun modo o ingegno, per sé o per altri, ricevere qualcosa per una causa da una persona, e il contravventore pagherà per multa cento iperperi per ogni volta, e non potrà più ricevere incarichi. E chiunque accuserà il contravventore, se potrà legittimamente dare la prova, avrà la metà di tale multa, e sarà creduto l’accusatore.

46. Come si devono conservare gli introiti del Comune e diritti di coloro che ricevono denaro del Comune.
Affinché meglio e più utilmente siano ricevuti gli introiti del Comune e il Comune ottenga più velocemente i suoi diritti, statuiamo che chiunque fosse eletto ad un incarico del Comune, dovrà custodire e conservare tutti i denari e le cose pertinenti al Comune, e nessuno dovrà mutuare la moneta o le cose del Comune o volgerle a sua utilità o di altri. E quando gli venisse domandata ragione dal signor conte o dagli incaricati del Comune per mandato del signor conte, sarà tenuto a dare ragione in modo giusto e fedele e ad assegnare ai camerari del Comune tutto ciò che pertiene al Comune entro tre giorni, dopo la richiesta del signor conte. E chi contravverrà a ciò, pagherà al Comune per multa un quarto in più, e poi non potrà ricevere nessun incarico dal Comune da cui possa trarre un utile. Se tuttavia il predetto ufficiale non fosse soddisfatto di ciò e negasse circa il denaro o le cose del Comune e provasse legittimamente e convincesse a buon diritto in Curia di avere denari o cose del Comune, restituirà al Comune tutto ciò di cui proverà o convincerà, quattro volte come furto. E da ora in poi non potrà ricoprire un incarico del Comune.

47. Sale del Comune.
Volendo provvedere al sale del Comune, affinchè l’introito per detto sale sia di più utile profitto del Comune, statuiamo che tutto il sale e la quantità di detto sale, sia al ricevimento che alla consegna, sia scritto sul libro del Comune. E le chiavi del magazzino di detto sale dovranno stare nella cassaforte del camerario del Comune. E a chiunque riceverà o consegnerà il sale del Comune, due doganieri che vi fossero al tempo, cioè coloro che quel giorno non staranno in dogana, riceveranno dette chiavi del sale dal camerario del Comune; e dovranno rimanere a ricevere o a dare detto sale, e dovranno rimanere entrambi presenti a misurare finché il sale sarà stato ricevuto o consegnato. E ogni giorno dovranno fare scrivere dallo scrivano della dogana la quantità di sale ricevuta e da chi. E quanto tutto il sale sarà stato ricevuto o dato, subito restituiranno le chiavi del magazzino del sale al camerario del Comune perché le custodisca, come detto sopra. E il sale del Comune non potrà essere venduto per le spese necessarie per il sale ma tutte dette spese saranno pagate dai camerari del Comune. E ogni mese quando i doganieri dovranno fare i conti della dogana saranno tenuti anche a fare i conti del sale dato o ricevuto, in presenza del signor conte e dei consiglieri del Minor Consiglio, e la quantità di detto sale dato o ricevuto sarà scritta ogni mese nel libro del Comune. E affinché detti doganieri possano sostenere il lavoro, vogliamo che ogni giorno in cui ricevono o danno il sale del Comune, abbiano dal Comune per salario un denaro grosso per ciascuno, e anche abbiano per ogni imbarcazione in cui verrà trasportato il sale venduto del comune, due moggi di sale, da colui che venderà detto sale del Comune.

48. Pena per coloro che agiscono infedelmente nelle missioni.
Spesso accade che alcuni uomini agiscano infedelmente nelle missioni fatte per il signor conte e il Comune, e contro di essi non vi è alcuna sanzione; perciò statuiamo che se un ambasciatore o altri che andasse per negozi del Comune comportandosi infedelmente contro la missione, avrà finto di andare od omesso di andare, e perciò il Comune di Ragusa abbia ricevuto un danno economico, perderà il salario e risarcirà tale danno al Comune. Se tuttavia, pur non essendovi danno economico, avrà agito contro la missione o omesso la missione, gli avvocati del Comune per mandato del signor conte dovranno convenire avanti il Consiglio dei Rogati il contravventore. Dal quale Consiglio saranno esclusi la parte e i suoi parenti secondo la forma dello Statuto, e qui dovrà essere deciso con bussolotti e ballote, se abbia agito contro la missione o meno. E se sembrerà al signor conte e alla maggioranza del Consiglio dei Rogati che abbia agito contro la missione, dovrà di nuovo essere giudicato con gli avvocati del Comune nel Maggior Consiglio. Da tale Consiglio dovranno essere espulsi il convenuto e i suoi parenti, come sopra detto, e qui dovrà essere decisa con bussolotti e ballote la quantità di pena, e la decisione presa in detto Maggior Consiglio sarà ferma, e il signor conte dovrà porla in esecuzione e far sì che sia recepita dal Comune di Ragusa.

49. Entro quale termine le vigne e le terre vendute possono essere misurate, e dette vigne e terre non possono essere misurate se non con la pertica.
Ordiniamo che tutti coloro che vendono o comprano vigne o terre, possono farle misurare quando vogliono entro un anno, computandolo dal giorno della vendita fatta e annunciata. E se trovassero più o meno terra, l’uno dovrà rifondere l’altro. E chiunque entro detto termine non le farà rimisurare, da detto anno in poi non sarà ascoltato. E tutte le vigne e le terre dovranno essere misurate con la pertica del Comune, e non con la fune.

50. Le barche non dovranno essere date agli Slavi e pena per i loro contravventori.
Poiché spesso accadeva che gli Slavi con imbarcazioni e barche degli uomini di Ragusa molestassero chi arrivava a Ragusa con vettovaglie e altre merci, e ciò era sicuramente dannoso per la città di Ragusa, non volendo tollerarlo ulteriormente, statuiamo che nessuna persona della città e di tutto il distretto di Ragusa osi dare a nolo, vendere, donare, né in alcun modo o ingegno dare a uno Slavo una gondola, o barca, o barchetta, né alcuna imbarcazione da tre remi in su; e il contravventore pagherà per ogni volta al Comune per multa venticinque iperperi, la cui metà andrà all’accusatore, se potrà provare l’accusa.

51. i falegnami e i calafati non vadano a lavorare sulle barche degli Slavi, e pena per i contravventori.
Per impedire che gli Slavi abbiano a disposizione una quantità di barche e altre imbarcazioni, con cui sono soliti danneggiare spesso i naviganti, ordiniamo che i falegnami e i calafati della città e del distretto di Ragusa, non vadano a lavorare o preparare o riparare nessuna barca o altra imbarcazione di Slavi. E il contravventore pagherà ogni volta al Comune per multa dieci iperperi, e all’accusatore, se tramite la sua accusa si conoscerà la verità, andrà la metà di detta multa.

52. Libertà concessa a tutti coloro che portano biade a Ragusa e ciò che viene aggiunto per il vicario, al custode dell’arsenale all’ufficiale giudiziario per salario, in tale occasione.
Nell’anno del Signore 1292, 22 maggio.
Noi Andrea Dandolo, in preclara memoria del fu signor Giovanni Dandolo, figlio dell’illustre doge di Venezia, per mandato del signor doge di Venezia conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza riuniti al suono delle campane, come al solito, e con la volontà e il consenso del reverendo padre signor Bonaventura, per grazia di Dio arcivescovo di Ragusa, e di tutto il capitolo della chiesa di Ragusa, considerando che lo statuto secondo cui i Ragusei che vengono a Ragusa con frumento e biada e ne portano parte alla chiesa di Santa Maria Maggiore, sono tenuti a dare e restituire una certa parte di detto frumento e biada al signor arcivescovo, al sacrestano, agli ufficiali giudiziari e al custode dell’arsenale del Comune di Ragusa, affinché in tale statuto più distintamente si ritrovi, è molto oneroso, negativo e molesto per coloro che vengono a Ragusa con il frumento, e contro la salvezza e il buono stato della città di Ragusa, e forse alcuni, per detta causa, cessano di portare dette vettovaglie a Ragusa. Perciò non volendo tollerare ancora che vi sia tale obbligo, e continui una tale servitù e specialmente per coloro che vogliono portare vettovaglie a Ragusa, statuiamo e ordiniamo che tale statuto che tratta di quanto sopra, specialmente del frumento e della biada da dare al signor arcivescovo, al sacrestano, agli ufficiali giudiziari e al custode dell’arsenale, da ora in poi sia cassato e invalido e di nessun valore, e in perpetuo rimarrà revocato. Aggiungiamo inoltre che gli ufficiali giudiziari del Comune dovranno avere annualmente dal Comune un iperpero ogni volta oltre al salario di dieci iperperi che avevano finora. E i custodi dell’arsenale del Comune similmente avranno cinque iperperi all’anno oltre al salario stabilito.

53. Salario del vicario.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che il vicario eletto pro tempore dalla prossima festa di San Michele in settembre in poi, non dovrà avere il maggiatico di frumento né alcuna biada dai forestieri, e lo Statuto che parla di ciò sia cassato e invalido e di nessun valore. Vogliamo tuttavia che il vicario abbia annualmente dal Comune di Ragusa per salario quaranta iperperi, ossia diciassette iperperi dal Comune oltre ai ventitre iperperi che aveva finora per salario. Inoltre ordiniamo che i forestieri che portano frumento o altre biade a Ragusa da vendere, da ora in poi paghino al Comune di Ragusa per la misura di ogni centinaio di steri di frumento e biada nove milliarensi, come pagano i Ragusei. E gli ufficiali del Comune saranno tenuti a raccogliere il dazio in detto fondaco.

54. Revoca del dazio sul vino.
Inoltre noi già nominato conte, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo riunito in pubblica adunanza al suono delle campane come al solito, considerando che lo statuto sul dazio del vino grava molto sulle persone e uomini di Ragusa, sia chierici che laici e sui monasteri della città, e forse per tale motivo vi è molta miseria, e con grande fatica e noia possono raccogliere con scarso reddito. Anche perché l’arcivescovo e il Capitolo della chiesa di Ragusa, che sono tenute a pagare detto dazio, hanno lodato e sono stati consenzienti alla revoca dello statuto sopra nominato sulle biade. Perciò per l’onore di Dio e per la salvezza e il buono stato della città di Ragusa, statuiamo e ordiniamo, che lo statuto sul dazio del vino sia da ora in poi revocato e in perpetuo rimanga invalido e senza valore.

55. Follari e grossi falsi.
Nell’anno del Signore 1294.
Noi cavaliere Marino Badoer, conte di Ragusa, con la volontà del Minore e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo riuniti al suono delle campane come al solito, rilevando che circola per la città quotidianamente una grande quantità di follari falsi, e anche da fuori molti ne introducono, da cui viene un danno e un inconveniente generale per tutti, non volendo tollerarlo ulteriormente, ma distruggere tale falsa moneta completamente, statuiamo e confermiamo che nessuno dovrà da alcun luogo portare a Ragusa né nel distretto follari falsi, sotto pena e multa di cento iperperi per ogni volta, e il sequestro di tali follari; se non potrà pagare, perderà la mano destra, e all’accusatore che lo denuncerà andrà la metà di detta pena, se suo tramite si scoprirà la verità. Parimenti nessuno dovrà a Ragusa o nel suo distretto spendere né usare follari falsi, sotto pena e multa di un denaro grosso per ogni follaro falso. E chiunque accuserà il contravventore avrà la metà di detta pena. E colui a cui venisse dato il follaro falso, sarà tenuto subito ad accusare colui che glielo avrà dato, e sarà creduto per tutto il giorno in cui l’avrà dato, e se l’avesse dato di notte, sarà creduto nel giorno seguente. Parimenti, se al signore o padrone del vino avranno portato follari falsi, il signore o padrone sarà tenuto subito a distruggerli, e l’ostessa dovrà consegnare al padrone del vino follari veri. E vogliamo che ciò sia sempre bene osservato, e tutti i componenti del Maggior Consiglio e tutti gli ufficiali del Comune saranno tenuti col giuramento ad accusare i contravventori, e avranno la metà della pena.
Saranno anche tenuti a ciò col giuramento, i componenti del Maggior Consiglio e gli ufficiali, ogni volta che vedranno e troveranno follari falsi non d’argento. Questo vogliamo che sia saputo e ritenuti essere follari falsi:
Stameni di Durazzo e Romania;
Follari di Armenia e Turchia, nuovi e vecchi;
Follari fatti di rame, senza lettere e figure;
Follari incisi;
Follari detti cappucci;
E generalmente tutti i follari nuovi e da coniare in forma vecchia.

56. Persone della Slavonia al servizio e al lavoro per il Comune o persone di Ragusa e contravventori.
Nell’anno del Signore 1303, indizione prima, 19 novembre.
Noi Marino Badoer cavaliere, conte di Ragusa, al terzo mandato del suo contado, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo riuniti al suono delle campane come al solito, ordiniamo e confermiamo che sebbene sia degno e giusto retribuire ciascuno secondo il suo lavoro, ossia retribuire bene chi lavora bene, e punire i contravventori secondo le loro colpe, ogni persona della Slavonia, che serve o lavora per il Comune o singole persone di Ragusa, sia retribuita al tempo e nel luogo che fosse conveniente, secondo il servizio che abbiano fatto per il Comune, o indiviso. Il vizio dell’ingratitudine non può riguardare il Comune di Ragusa o singole persone. Parimenti a ogni persona della Slavonia di qualunque condizione, che abbia recato offesa o ingiuria al Comune di Ragusa o a una persona speciale, sia punita secondo l’offesa, affinché nessuno si possa gloriare della sua malizia. Parimenti a perpetua memoria si crei un libro chiamato Libro dei Meriti, in cui si scriveranno i nomi delle persone che avranno servito e lavorato per il Comune di Ragusa o per singole persone di Ragusa, e i servizi e il bene fatti da tali persone per il Comune o singolarmente. Parimenti nello stesso libro saranno scritti tutti i nomi delle persone della Slavonia che avranno offeso o ingiuriato il Comune di Ragusa o singole persone di Ragusa, e inoltre tutte le offese e le ingiurie rivolte al Comune o singolarmente, in un certo luogo e tempo dal Comune di Ragusa, sia servendo il Comune e singole persone di Ragusa, sia offendendo il Comune e le sue persone speciali, sia retribuito il premio e il merito dal Comune e dalle singole persone, secondo quanto merita ciascuno, sia nel servire quanto nell’offendere. Tale libro delle pene dovrà stare e rimanere presso i camerari del Comune di Ragusa che vi fossero al tempo in città.

57. Come devono essere disposte le vie e le case dopo l’incendio della città.
Poiché non si può resistere ai giudizi divini, si è sviluppato un fuoco nella città di Ragusa, che ha preso tutto il borgo e la maggiore parte della città antica è rimasta bruciata dall’incendio. Tale incendio è avvenuto nell’anno della nascita del Signore 1296, indizione nona, giovedì notte, 16 agosto. Perciò noi Marino Morosini, per mandato dogale conte di Ragusa, intendendo provvedere sollecitamente alla ricostruzione e alla situazione della città, e specialmente alla ricostruzione delle case e delle strade ossia delle vie della città e del borgo, nell’anno sopraddetto, 23 settembre, convocato il Minore e Maggior Consiglio e con la lode del popoli riuniti al suono delle campane come al solito, statuiamo e ordiniamo che avanti alle case del Comune di Ragusa in cui è situata la dogana, sia lasciata una via della larghezza di quattro passi, che con tale larghezza vada fino alla chiesa di San Nicola del Campo. Nella parte interna del circuito delle mura, parimenti ai margini del borgo, iniziando dalla chiesa di San Nicola, dovrà passare una via della larghezza di tre passi nel territorio del Comune, che va da ponente fino al muro della città. Parimenti in detto borgo si dovranno costruire le case sulla strada del Comune, iniziando da levante fino a ponente, e ogni casa sarà della larghezza di tre passi, e altrettanti in lunghezza e tra dette  case vi saranno scolatoi per lo spazio di tre palmi di canna. Siano lasciate anche tra dette case vie della larghezza di dieci palmi di canna per ogni via. E tali vie con la stessa larghezza continuino e vadano fino al muro della città dalla parte della montagna. E in tale modo e ordine le case dovranno continuare con i loro scolatoi e vie fino al muro della città di porta Pile, tuttavia nessuno potrà costruire alcun solaio, scala o cantiere in tali vie o sopra di esse. Inoltre ordiniamo che dall’altra parte del borgo sia lasciata una via della larghezza di dieci palmi di canne che vada nel terreno del Comune, iniziando dalle case di quelli di Volcasio a levante, e passi a lato di dette case e a lato della casa di Orsato Cereve e la casa di Mattia Menze. E così continuando corra fino alla via che passa tra la casa di Trifone Giorgi e il terreno dell’arcivescovo di Ragusa; e tale via di detta larghezza e lunghezza rimanga aperta e libera in perpetuo, né potrà essere costruito su di essa alcun edificio. Si deve anche sapere che detta via è tutta nel terreno del Comune di Ragusa, tranne la parte che confina a ponente che entra nel terreno di Trifone Giorgi per cinque palmi e nel terreno di Martolo Cereve di dieci palmi da un lato, e così finisce in detti cinque palmi di terreno del nominato Trifone, e così il confine del terreno del Comune rimane nel luogo del territorio di detti Trifone e Martolo di due passi e mezzo. Ordiniamo inoltre che coloro che hanno possessi che vanno da detta via, dovranno pagare annualmente ciò che sarà ordinato dal signor conte e dal Consiglio, affinché sia contenuto nel libro degli affitti e dei terrenidel Comune. Inoltre ordiniamo di fabbricare su detta strada del Comune la casa in tale ordine, iniziando dalla casa di quelli di Volcasio, siano edificate quattro case di dodici passi e mezzo con i loro scolatoi di tre palmi per scolatoio, e al termine di tale confine sia lasciata una via di dieci palmi di larghezza. E tale via passerà tra il terreno del monastero di Santa Maria di Meleda e la casa di Orsato Cereve ed entrerà dalla porta costruita nel muro attraverso cui si entra nel terreno di quelli di Gondola, e così corra fino al muro della città vecchia. Però da predetta via in poi fino al capo del territorio Stanza Sub dovranno esserci due case di sei passi con scolatoi di tre palmi. E tra il terreno di detto Stanza e il terreno di Damiano Gondola passerà una via della larghezza di otto palmi, e andrà diritta fino al muro della città vecchia. Però da detta via fino al capo seguente del terreno di Mattia Menze si dovranno edificare due case con il solito scolatoio, la prima delle quali avrà tre passi e sette palmi, l’altra tre passi e sei palmi per confine. E tra il terreno e la casa di detto Mattia la via correrà con la consueta larghezza di nove palmi, e andrà diritta fino alla porta del muro della città, attraverso cui si entra in casa di Martolo Cereve e da detta via in poi fino all’altro capo del terreno di detto Mattia che confina col terreno di Trifone Giorgi, saranno edificate sei case col confine di venti passi, e ogni casa avrà il confine di tre passi, e gli scolatoi nel modo prescritto. E tra i terreni di detto Mattia e i terreni di Trifone Giorgi dovrà passare una via della larghezza di dieci palmi e andrà diritta fino al muro della città vecchia. Parimenti dalla detta via in poi passando per tutto il terreno di Trifone Giorgi e il terreno di Martolo Cereve, saranno edificate cinque case dal confine di sedici passi con gli scolatoi consueti e a capo di detti confini, tra la casa di detto Trifone e il terreno dell’arcivescovo di Ragusa, passerà la solita via, che correrà con la stessa larghezza che era solita. Inoltre dalla detta via in poi correndo lungo tutto il territorio dell’arcivescovado di Ragusa, col confine di trentotto passi, dovranno essere costruite dieci case con i loro scolatoi di tre palmi ciascuno. E tra dette case dovranno correre quattro vie, di dieci palmi di larghezza per via, che andranno nel terreno dell’arcivescovado di Ragusa fino alla via che va alla chiesa di Ognissanti. La via che si vede passare a lato del monastero delle Clarisse, rimarrà nel suo consueto stato. Parimenti dal pozzo del Comune, che è davanti al monastero delle Clarisse, passerà la solita via nel terreno di detto arcivescovado, che verrà fino alla casa di Sersi e da qui avanti al Castello, e la sua larghezza rimarrà come al solito. L’altra via che viene dalla chiesa di Ognissanti e a lato della casa di Demetrio di Villano, dovrà con tutta la sua larghezza rimanere nell’antico stato e consuetudine. E la via che va dalla porta del fondaco e davanti al negozio di Giovanni Celipe rimarrà e andrà fino alla chiesa di Pasqua Picurari con la solita larghezza. E le vie sopra descritte, dovranno rimanere in perpetuo vuote e aperte, e nessuno su di esse o sopra di esse potrà fare una scala o un archivolto o solaio, affinché siano sempre aperte con la stessa larghezza. Né in detto borgo alcuno potrà fare né avere una discarica se non nelle proprie case in cui abita; e quelli costruiscano la discarica sotto terra, cosicché l’immondizia non corra nelle dette vie e negli scolatoi ordinati. Invero i proprietari, quando dette vie corrano sul terreno, dovranno costruire dette vie e risarcirsi l’uno col l’altro, fino a che si saranno accordati. E se non riusciranno ad accordarsi a vicenda, il signor conte col Minor Consiglio dovrà eleggere tre probiviri che dovranno determinare ciò che a loro sembrerà giusto. E ciò che essi determineranno, sarà fermo e rato. Tuttavia revochiamo gli statuti e gli ordinamenti che sono contro detto ordine, come di nessun valore.
Nell’anno del signore 1304, indizione seconda, venti aprile.
Noi cavaliere Marino Badoer, conte di Ragusa, nel terzo mandato del suo contado, con la volontà del suo Minor e Maggior Consiglio, ordiniamo e confermiamo che da ora in poi nessuna ragazza che vada sposa, osi o debba legarsi né portare le corna, secondo l’antica consuetudine, sotto pena di dieci iperperi per ogni contravvenzione. Ciò venne pubblicamente annunciato nei soliti luoghi da Matteo banditore del Comune.

58. Condanna al risarcimento.
1308, indizione sesta, 29 settembre.
Vi era l’antica consuetudine di tutti i re e gli uomini della Slavonia e di tutti i regni con tutti i  conti e gli uomini di Ragusa, che se un Raguseo uccidesse alcuno della Slavonia e di tutto il regno, pagasse per risarcimento cinquanta iperperi, e al contrario facessero gli uomini della Slavonia e del regno. Invero al tempo del nobile Belletto Falletro, ora conte di Ragusa, accadde il caso che uno Slavo fosse ucciso da un Raguseo, e detto signor conte non volle sentenziare secondo detta consuetudine, ma volle procedere secondo lo Statuto del signor Giovanni Tiepolo, al quale dice di essere obbligato col giuramento. Su di ciò vi fu discordia tra il signor conte e gli uomini di Ragusa. E su di essi dallo stesso conte e dagli uomini di Ragusa venne mandato dal signor doge e dal Comune di Venezia. Udite tali questioni e controversie, il signor doge e il Comune di Venezia diedero mandato che detto conte allora procedesse in detto caso secondo detti Statuti. Tuttavia al tempo del nobile Andrea Dauro, conte di Ragusa, successore di detto Belletto nel contado di Ragusa, furono mandati ambasciatori ufficiali dal signor doge e dal Comune di Venezia da parte del signor conte e del Comune di Ragusa, supplicando riverentemente e chiedendo, a lui piacendo, che detta antica consuetudine del risarcimento venisse conservata. Agli ambasciatori fu risposto dal signor doge e dal Comune di Venezia, e con lettere dogali al signor conte e al Comune di Ragusa scritto nei mandati, che dovranno essere inviate al signor re Urosio, e chiedergli e subito pretendere la giustizia che a lui piacesse conservare, che per Dio e per gli uomini e per tutto il mondo è amabile, cioè se alcuno dei suoi uomini e di tutto il regno uccidesse alcun Raguseo, l’omicidio sia punito con la morte; se vorrà fare così, il signor conte e gli uomini di Ragusa saranno pronti a eseguire tale giustizia, se un Raguseo uccidesse uno Slavo. E se detto re non fosse contento e non volesse fare detta giustizia, ossia punire la morte con la morte, ma volesse conservare la consuetudine del risarcimento, il signor conte e gli uomini e il Comune di Ragusa tale risarcimento e la stessa consuetudine del risarcimento dovranno conservare e fare al detto signor re e agli uomini della Slavonia e di tutto il regno, nonostante in tale caso lo Statuto e i capitoli del signor Giovanni Tiepolo. Onde viste e intese dette lettere del signor doge, lo stesso signor conte e il Comune di Ragusa  mandarono ambasciatori ufficiali per mandato del signor doge a detto re, supplicando riverentemente e chiedendogli subito, mostrandogli anche le dette lettere del signor doge, che egli facesse giustizia dei suoi uomini di tutto il regno nel modo sopraddetto, se accadesse, Dio non voglia, che si volesse fare, il signor conte e gli uomini di Ragusa saranno pronti a fare dei loro Ragusei lo stesso. Udito ciò il signor re rispose che in nessun modo acconsentiva e non voleva spargere il suo sangue, ma voleva conservare e tenere l’antica consuetudine del risarcimento sua e dei suoi predecessori, e che nessuno facesse in modo diverso perché ciò era confermato col giuramento. E i Ragusei facessero dei loro uomini ciò che volessero, ma egli non avrebbe fatto altro dei suoi uomini se non secondo la consuetudine del risarcimento. E ciò confermò col giuramento a detti nostri ambasciatori, e diede loro per il Comune di Ragusa autentici e solenni privilegi. Onde noi Andrea Dauro, conte di Ragusa, con i nostri Minor e Maggior Consiglio, con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza del Comune al suono delle campane come al solito riuniti, volendo riverentemente osservare le lettere e il mandato del nostro signor doge, e sollecitamente provvedere al bene degli uomini e della città di Ragusa, statuiamo e confermiamo, che se alcuno della Slavonia o di tutto il regno uccidesse, paghi cinquanta iperperi per il risarcimento, secondo detta antica consuetudine, e se non pagasse, sia bandito dalla città e dal distretto di Ragusa finchè pagherà integralmente il risarcimento.

59. Come punire chi abbia ucciso Slavi e testo delle lettere del signor doge di Venezia sulla pena del risarcimento.
Pietro Gradenigo, per grazia di Dio doge di Venezia, Dalmazia e Croazia, signore della quarta parte e mezzo di tutto l’impero di Romania, al nobile e sapiente Andrea Dauro, per suo mandato conte di Ragusa, e a tutta la sua città, ai suoi diletti fedeli, salute e dichiarazione di affetto.
Venendo alla nostra presenza i nobili Orsacio De Bodaga, Marino Darsa e Nicola Gondola, nostri ambasciatori, ci supplicarono umilmente da parte vostra, poiché nella missione del vostro conte è contenuto tra l’altro, che chi abbia ucciso debba morire, e il re Urosio non intende far morire i suoi Slavi che abbiano ucciso i vostri Ragusei, ma far pagare loro cinquanta iperperi per il reato commesso e nessuna altra pena. E ci degnamo di concedervi la grazia speciale che in altra e simile condizione con i predetti Slavi, nonostante la missione del vostro conte, ossia se un Raguseo abbia ucciso uno Slavo, pagherà la predetta pena di cinquanta iperperi e non riceverà altra pena. Su ciò vi scriviamo per la vostra prudenza per noi e i nostri Consigli, Minore e Maggiore, di istruire gli incaricati che dovranno essere mandati al signor re di Rassia, al quale faranno chiedere e subito pregare, poiché ogni legge divina e umana impone e così sia servito il mondo, per conservare la giustizia, gli piaccia essere contento della giustizia, che piaccia solo a Dio e agli uomini, conservare e fare dei suoi Slavi, che abbiano ucciso un Raguseo, similmente li farà morire, quando voi sarete pronti, come dovete essere, a conservare questa giustizia e fare similmente morire i vostri Ragusei che abbiano ucciso i suoi Slavi. Se di ciò il re sarà contento che voi così osserviate e facciate giustizia, come detto sia osservato inviolabilmente; se tuttavia il re non fosse contento della giustizia da applicare ma volesse tenere e conservare la predetta consuetudine di cinquanta iperperi, allora lasciamo alla vostra discrezione di conservare in tali casi una simile consuetudine o consuetudini verso gli Slavi, i quali verso di voi hanno conservato, nonostante il punto della missione del vostro conte che, quanto a ciò, riteniamo da revocare.
Dato nel  nostro palazzo dogale, 8 aprile, sesta indizione.

60. Incendio.
Nell’anno del signore 1309, indizione settima, 6 gennaio, al tempo del signor Andrea Dauro, conte di Ragusa.
Noi Andrea Dauro, conte di Ragusa, intendendo con lo studio di incessante sollecitudine per la conservazione e la salvezza degli uomini e della città di Ragusa, considerando che la poca cautela di molte persone sul nascere del fuoco può provocare un grande e generale pericolo alla città di Ragusa, per volontà ed espresso consenso del nostro Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane in piazza riunito, come al solito, statuiamo che se accadesse, Dio non voglia, che il fuoco si sviluppasse in una casa nella città di Ragusa o nel borgo, tutti gli uomini della città e del borgo di Ragusa saranno tenuti a correre al soccorso e spegnere il fuoco con secchi, orci e mastelli di acqua. E nessuna donna di qualunque condizione e stato, osi e presuma in detta ora, sia di giorno che di notte, uscire di casa né andare nel luogo ove si è sviluppato l’incendio, sotto pena di cinque iperperi per volta. E se la donna fosse sposata, il marito pagherà la pena; e se fosse vedova, pagherà con la dote; e se non fosse sposata e abbia il padre, il padre sarà tenuto a pagare detta pena, o la madre o i fratelli, se non avesse il padre o essa con i suoi beni se è erede. E se di altra condizione essa paghi con i suoi soldi senza remissione, e all’accusatore andrà la metà se per l’accusa si potrà provare la verità. Eccetto le balie, le schiave e altre al servizio dei nobili di Ragusa che saranno tenute a correre con secchi e mastelli di acqua, sotto pena di cinque iperperi per ciascuna e per volta. Parimenti i calzolai e i pellicciai saranno tenuti a correre con i loro mastelli con acqua sul luogo dell’incendio, e i falegnami e i calafati con i loro secchi, e i salariati con mastelli o secchi di acqua, sotto pena di cinque iperperi per ogni volta. Parimenti se in detto caso accadesse che il fuoco avesse distrutto una casa o più, se sia successo in qualsiasi parte della casa  in cui vi sia stato l’incendio, e la casa sia stata distrutta per quel motivo, sia risarcita dal Comune di Ragusa, secondo la giusta stima di tre o cinque probiviri o la maggior parte di coloro che fossero deputati a ciò dal signor conte e dal suo Consiglio. Parimenti siano acquistati dal Comune per ogni sestiere venti secchi che saranno consegnati ad alcuni probiviri che con i secchi saranno tenuti a correre sul luogo dell’incendio, nel caso, sotto pena di cinque iperperi per ogni volta. E colui al quale saranno consegnati tali secchi, non potrà donarli o venderli, in nessun modo o ingegno, sotto pena di due iperperi per ogni volta.

61. La terza parte delle somme mutuate dovrà essere data alla dogana.
Nell’anno del Signore 1309, indizione settima, 16 settembre, al tempo del signor Andrea Dauro, conte di Ragusa.
Noi Andrea Dauro, conte di Ragusa, con la volontà e il consenso del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane come al solito riunito in piazza, statuiamo e ordiniamo che per un mutuo di duemilacentosettanta iperperi che sia in corso, e per ogni mutuo dato al Comune dagli uomini di Ragusa, la terza parte sia data alla dogana. E nessun conte potrà violare detto statuto, né mutarlo, né potrà proporre egli o altri in alcun Consiglio la revoca o la modifica di tale statuto, sotto pena di spergiuro. E nessuno osi o presuma chiedere o proporre in alcun Consiglio la revoca o la modifica del presente statuto, sotto pena di venticinque iperperi per ciascuno e per ogni volta.

62. Le persone della Dalmazia superiore obbligate per documento notarile saranno tenute a replicare.
Al tempo del signor Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa.
Corrente l’anno del Signore 1309, indizione settima, 18 dicembre, al tempo del nobile signore Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, il Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza al suono della campana come al solito riunito, fu statuito e confermato, che ogni persona della Dalmazia superiore, ossia di tutte e le singole città e luoghi della Dalmazia superiore da sopra Ragusa verso oriente, che faccia o contragga un debito o debiti a Ragusa, per qualunque ragione o causa con documento notarile o scrittura su quaderno o idonei testi, sarà tenuta a rispondere per detto debito o debiti avanti il signor conte di Ragusa e alla sua Curia, se saranno trovati a Ragusa e requisiti dai suoi creditori, dovrà soddisfare detti debiti, se vi fosse sentenza del signor conte di Ragusa e della sua Curia, nonostante diverso precedente statuto del Comune di Ragusa.

63. Divieto di portare sale nei luoghi proibiti.
Corrente l’anno del Signore 1311, indizione nona, il penultimo giorno di marzo.
Noi Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza al suono delle campane riunito come al solito, statuiamo e confermiamo che nessun Raguseo osi o presuma di caricare o scaricare sale dal capo Comano verso Ragusa e da Budva verso Ragusa, con imbarcazioni sua o di altri, di Ragusei o di forestieri, né in terra né da terra, né da imbarcazione a imbarcazione, per portarlo o prenderlo da alcuna parte se non a Ragusa, sotto pena contenuta nello Statuto sul sale.

64. Navi che vanno di conserva.
1311, indizione nona, 17 luglio.
Noi Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza al suono delle campane riunito come al solito, statuiamo e confermiamo che ogni imbarcazione e nave mandata dal signor conte, che vi è o sarà al tempo, e dal suo Minor Consiglio, e posta di conserva e sotto ordine del capitano per andare in qualche luogo, dovranno sottoporre a ordine, per cui se accadesse un danno a causa dei corsari su dette imbarcazioni, tutto il danno sarà risarcito per avaria con tutti i beni di dette imbarcazioni, valutando tali imbarcazioni un terzo in meno.

65. Sale prodotto nel distretto di Ragusa che si può portare.
Corrente l’anno del Signore 1313, undicesima indizione, 11 marzo.
Noi Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza al suono delle campane riunito come al solito, statuiamo e confermiamo che chiunque produca o faccia produrre sale nel distretto di Ragusa, dovrà ogni anno portare o far portare a Ragusa tutto il sale prodotto alle calende di agosto. E l’altro sale prodotto successivamente, lo farà portare fino alle calende di settembre seguenti. E porterà l’altro sale prodotto successivamente, o lo farà portare a Ragusa fino all’ultimo giorno in cui avrà cessato di produrre per quell’anno. E nessuno potrà vendere, in alcun modo o ingegno, detto sale a Ragusa o nel distretto o in altro luogo proibito né all’ingrosso né al minuto se non al Comune di Ragusa o all’autorità preposta. E se non riuscirà ad accordarsi col comune di Ragusa o con l’autorità preposta, tale sale potrà essere portato in luoghi consentiti. E se vorranno scaricare tale sale a Ragusa, lo potranno scaricare designando e dando le chiavi di detto sale al camerario del Comune, e sarà data loro una ricevuta della quantità di sale. E successivamente potranno caricare e portare detto sale in luoghi consentiti, se non possono accordarsi col Comune di Ragusa o con l’autorità preposta. E chiunque contravverrà, pagherà al Comune per multa venticinque iperperi ogni volta, e il sale o il valore del sale. E all’accusatore andrà metà della multa se l’accusa sarà vera.

66. Doganieri e gestori del fondaco fuori dal distretto di Ragusa.
Corrente l’anno del Signore 1313, indizione undicesima, undici marzo.
Noi Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso del Minor e Maggior Consiglio e con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza al suono delle campane riunito come al solito, statuiamo e confermiamo che se alcuno dei doganieri o dei gestori del fondaco rimarrà fuori dal distretto di Ragusa per oltre quindici giorni continui, perderà il suo incarico e un altro verrà eletto in suo luogo.

67. Acquirente di immobile che non paga il prezzo alla scadenza.
Noi Paolo Morosini, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza al suono delle campane riunito come al solito, statuiamo e confermiamo che se alcuno comprasse un immobile e non pagasse il prezzo alla scadenza prevista dallo statuto o a quella stabilita tra venditore e compratore, potranno essere venduti i beni immobili e mobili dell’acquirente e le sue proprietà che avrà comprato, e la persona dell’acquirente sarà detenuta in Castello a volontà del venditore fino a piena soddisfazione di tutto il prezzo di detto possesso venduto, e nessuna consuetudine o statuto precedentemente in vigore varrà contro tale statuto.

68. Notifica ai confinanti.
Parimenti, chiunque venda una proprietà immobiliare, sarà tenuto a notificarlo ai confinanti, che saranno a Ragusa, e tale denuncia sarà scritta nel quaderno del Comune.

69. Persone detenute in castello per debiti.
Corrente l’anno del Signore 1318, indizione prima, 29 marzo.
Noi Paolo Morosini, conte di Ragusa, con la volontà e il consenso del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza in piazza al suono delle campane riunito come al solito, statuiamo e ordiniamo che se alcuno fosse detenuto in Castello a richiesta di un altro per un debito, nessun altro creditore di detto debitore detenuto, che avesse un documento o un debito anteriore a quello per cui si trova detenuto, potrà farlo uscire dal Castello, ma dovrà rimanere in Castello per ogni creditore, in modo che per primo sarà pagato il creditore con i beni di detto debitore, e così successivamente l’uno dopo l’altro; salvo lo statuto del presente viaggio.

70. Quanto il conte con il Minor Consiglio può spendere del denaro del Comune.
Corrente l’anno del signore 1319, indizione seconda, 2 giugno.
Al tempo del nobile e potente Ugolino Giustiniani, onorevole conte di Ragusa, in Maggior Consiglio al suono della campana come al solito riunito al cui Consiglio presero parte novantuno consiglieri, furono poste due questioni: una, che il signor conte col suo Minor Consiglio, che ora o al tempo vi fosse, potrà con denaro del Comune presentare a persona degna in città o nel distretto o a chi viene nel distretto di Ragusa, secondo la dignità della condizione e lo stato di dette persone, pane, vino e altre cose commestibili, fino a dieci iperperi e non di più; e non altro. E detta decisione fu presa con i voti di novanta consiglieri, che il signor conte col suo Minor Consiglio, come detto sopra, potrà spendere il denaro del Comune nel modo sopraddetto, potrà spendere del denaro del Comune fino a dieci iperperi.

71. Giudici del Maggior Consiglio che convengono alcuno o vengono convenuti in giudizio.
Noi Paolo Morosini, conte di Ragusa, con la volontà e il consenso del Minor e Maggior Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane in piazza come al solito riuniti, statuiamo e confermiamo che se alcuno dei giudici del Maggior Consiglio convenisse in giudizio alcuno o muovesse questioni in giudizio verso alcuno, o se alcuno convenisse in giudizio o muovesse questioni verso un giudice del Maggior Consiglio, quel giudice che conviene, o che è convenuto in giudizio, non dovrà sedere in giudizio né dare consulenza al signor conte né agli altri giudici su tale questione. E tanto il giudice del Maggior Consiglio che conviene in giudizio, quanto colui che conviene in giudizio il giudice, possono ricusare ciascuno degli altri giudici in tale causa se lo vorranno. Per tutto il resto gli antichi Statuti rimangono fermi.

72. Coloro che hanno diritti su un bene immobile venduto e sono assenti durante la notificazione di vendita.
Corrente l’anno del signore 1320, indizione quarta, 16 novembre.
Noi Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, con la volontà dei nostri Consigli Minore, Maggiore e Generale e con la lode del popolo al suono delle campane come al solito riuniti nella Piazza del Comune, statuiamo e ordiniamo che tutti, sia i cittadini che i forestieri assenti da Ragusa, di qualunque condizione, durante la vendita e la notificazione di vendita di una proprietà o di un immobile, hanno termine di due anni dal giorno della notificazione della vendita per presentare, agire e perseguire il proprio diritto contro l’acquirente sul bene venduto sia per il debito che per questioni di parentela. Se taceranno, trascorsi i due anni, non potranno agire o domandare il loro diritto sull’acquirente per il bene acquistato.

73. Nessun Raguseo osi coltivare ai confini con gli Slavi e pena per i contravventori.
Corrente l’anno del signore 1321, indizione quinta, 4 luglio.
Il signor Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, e i suoi Consigli Minore, Maggiore e Generale e con la lode del popolo al suono delle campane nella piazza del Comune come al solito riuniti statuirono e ordinarono affinché cessino in futuro sulla materia discordie, liti e questioni tra uomini della città di Ragusa e del suo distretto e gli Slavi della Slavonia e viga la pace tra loro: d’ora in poi nessuna persona di Ragusa o del distretto osi o presuma in nessun modo o ingegno coltivare o far coltivare la terra o le terre che confinano con gli Slavi, se prima non saranno andati avanti il signor conte e il suo Minor Consiglio per fare la domanda di coltivare la terra che confina con gli Slavi e dove e quando. Il signor conte, udita la domanda di chi intende coltivare e verificati i suoi diritti, gli assegnerà tre componenti del Minor Consiglio che andranno a vedere dove intende coltivare a spese del coltivatore. E vista la relazione di detti componenti del Minor Consiglio, successivamente si procederà come vorrà il signor conte e il suo Minor Consiglio. E il contravventore sarà punito per ogni volta con cinquanta iperperi e all’accusatore andrà metà della multa se si potrà scoprire la verità, e sarà creduto. E anche il signor conte col suo Minor Consiglio sarà tenuto una volta all’anno a mandare tre componenti del suo Minor Consiglio a vedere se vi sono violazioni. E d’ora in poi non sarà eletto nessun ufficiale sulle coltivazioni.

74. Coloro che si presentano ad alcuno per la vendita di una proprietà e recedono  entro tre mesi, procuratore non nominato, eccetera.
Coloro che si presentano per le vendite e vanno fuori Ragusa.

Corrente l’anno del Signore 1321, indizione quarta, 3 luglio.
Noi Bartolomeo Gradenigo, conte di Ragusa, con la volontà dei nostri Consigli Minore, Maggiore e Generale, e con la lode del popolo al suono delle campane nella piazza del Comune come al solito riunito, poiché molti si presentano per le vendite di cui sono possessori, dicendo e asserendo di avere diritti sulle cose da vendere e con obbligazione per debito, o aspettargli per parentela, e fatta detta presentazione escono da Ragusa, a causa di ciò la divisione rimane impedita e non può conseguire gli effetti, e ciò è pericoloso sia per il venditore che per il compratore, statuiamo che d’ora in poi chiunque si presentasse per una vendita, non potrà assentarsi da Ragusa se non nominerà un procuratore, che per esso agisca per i diritti sul bene da vendere per cui si era presentato. E se si assenterà entro tre mesi dal giorno della notificazione di vendita, o trascorsi i tre mesi non avendo nominato un procuratore che agisca per i suoi diritti, tale presentazione sia cassata e inutile e di nessun valore.

75. Chi porta sale a Ragusa.
Corrente l’anno del signore 1322, indizione quinta, 20 luglio.
Noi Ludovico Morosini, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio del Comune di Ragusa, e con la lode del popolo in pubblica adunanza riuniti al suono delle campane nella piazza del comune, come al solito, considerando che lo Statuto del Comune che dice che, sia lo straniero che il cittadino, non può scaricare o vendere il sale portato a Ragusa, se non al Comune di Ragusa, e con licenza del signor conte, come in detto capitolo è precisamente stabilito, è molto oneroso, sfavorevole e molesto per gli uomini di Ragusa che vogliano portare, scaricare e immagazzinare il sale nella città di Ragusa. Perciò non volendo tollerare ulteriormente a causa di tale servitù, che la molestia continui, e specialmente per gli uomini di Ragusa che vogliano portare, scaricare e immagazzinare il sale nella città di Ragusa, statuiamo e ordiniamo che detto Statuto per cui nessun Raguseo potrà scaricare il sale nella città di Ragusa senza licenza del signor conte, sia revocato. E che da ora in poi ciascun Raguseo potrà senza pena e multa scaricare e immagazzinare sale a Ragusa, alla condizione che, prima di iniziare a scaricare il sale, sarà tenuto a denunciare ai magazzinieri del Comune incaricati del sale, come intende scaricare e immagazzinare a Ragusa il sale, sotto pena di venticinque iperperi per ciascuno e per ogni volta. E i magazzinieri del Comune saranno tenuti a mandare sull’imbarcazione un proboviro, a spese del proprietario del sale, che scriverà chi ha ordinato il sale e quanto e in quale casa verrà immagazzinato. E scaricato e immagazzinato il sale, il proprietario del sale sarà tenuto a dare le chiavi di detto sale ai magazzinieri del Comune. E quando vorrà potrà far uscire da Ragusa il sale e imbarcarlo tutto insieme da Ragusa, denunciandolo prima al signor conte e al suo Minor Consiglio, e venderlo dove vorrà oltre i confini previsti nello Statuto. E per ogni imbarcazione che porti da novanta moggi in su e scarichi, ai magazzinieri del Comune andranno ogni volta tre moggi. E se in quel periodo il Comune avesse necessità di sale, potrà ricevere quanto serve, prendendo da ciascuno per quota, secondo ciò che porterà, per dodici iperperi ogni cento moggi; e il Comune sarà tenuto a pagare detto prezzo, affinché paghi agli altri che hanno il sale nel Comune. Le altre statuizioni contenute in detto Statuto e le altre rimangono ferme e rate.

76. Misure non esatte.
Nell’anno del signore 1336, indizione quarta, 16 gennaio.
Noi Nicola Faliero, conte di Ragusa, con i nostri Consigli Minore, Maggiore e Generale, e con la lode del popolo al suono delle campane nella piazza del Comune come al solito riunito, statuiamo e ordiniamo che poiché molti pesi con cui si pesano le merci e altre cose non sono esatti, e anche molti bracci con cui si misurano drappi, sia di lana che di lino, e anche  molte misure, sia per il vino che per l’olio, sono state trovate non esatte, si dovranno eleggere tre nobili ogni anno, il cui incarico sarà di verificare in città i pesi non esatti e non bollati e i misuratori di lunghezza e di misure non esatte, e coloro che pesano e misurano falsamente, e coloro che vendono oltre quanto devono secondo la forma dello Statuto. E a tutti coloro che troveranno i contravventori andrà metà della multa.

77. Argento, cera e altre merci da pesare e pesi da verificare ogni anno.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che ognuno di qualunque condizione e stato, volendo vendere o acquistare nella città di Ragusa oro, argento, cera o altre merci, sia a peso all’ingrosso che a peso sottile, e sia le merci all’ingrosso che al minuto sarà tenuto a fare sagomare e verificare ogni anno con i pesi del Comune e farli bollare con la bolla di San Biagio. Con tali pesi così esatti, sagomati e bollati, saranno tenuti a pesare tutte le merci che verranno vendute. E nessuno potrà avere o tenere in casa sua o in bottega alcun peso non bollato con la bolla di San Biagio, sotto pena di iperperi cinque per ogni contravventore e ogni volta. E ovunque sarà trovato un peso non esatto, sia non bollato che bollato, subirà la pena del Comune di Ragusa per ogni peso e ogni volta di cinque iperperi. E l’oro, l’argento e le perle dovranno essere pesati con peso sottile. La cera, la seta, lo zafferano e tutte le altre spezie, quali esistano, dovranno essere pesati con peso grosso, sotto pena per ciascuno e ogni volta. E nessun venditore di spezie, volendo vendere cera, zafferano, seta o altre spezie, osi o presuma in nessun modo o ingegno di avere e tenere nella sua bottega alcun peso sottile, sotto pena di cinque iperperi per ciascuno e per ogni volta. E l’ufficio dei pesi del comune, ossia coloro che sono incaricati di essi, sarà tenuto e dovrà col giuramento una volta al mese andare in città, individuando i contravventori. E a chi potrà accusare i contravventori, andrà la metà della multa se l’accusa sarà vera. E nessuno potrà produrre o vendere candele di cera o di sego, senza lo stoppino di cotone, sotto pena di un iperpero per ciascuno e per ogni volta. E ogni peso sottile dovrà essere bollato con due bolle di San Biagio, e il peso grosso con una bolla di San Biagio.

78. Armi da portare in nave.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che per ogni condura, barca o altra imbarcazione della portata di venti milliarensi e oltre, in ogni viaggio fuori Ragusa, il padrone di tale condura, barca o imbarcazione dovrà avere cinque corazze e balestre armate o tre archi armati con frecce e dardi. E ciascun marinaio uno scudo, una spada e un’arma a testa, sotto pena di un iperpero per ogni corazza, e di sei grossi per ogni balestra, e per ciascuna di dette armi. E su ciò dovranno essere eletti due probiviri che per giuramento saranno tenuti ad andare e verificare prima della partenza delle imbarcazioni dal porto di Ragusa, se dette armi si trovano su di esse. E similmente al ritorno. E nessuna condura, barca o altra imbarcazione potrà partire dal porto di Ragusa se prima non sarà stata ispezionata da detti ufficiali, sotto pena di dieci iperperi per ciascun padrone di dette imbarcazioni che contravvenga e per ogni volta. E ciascuno di detti due ufficiali dovrà avere dal Comune ogni mese fino alla festa di San Michele un grosso e la metà delle multe.

79. I marinai di ogni imbarcazione dovranno portare con sé un’arma.
Parimenti ordiniamo e statuiamo che per ogni barca o imbarcazione che sia carica di merci o della portata di venti milliarensi, il padrone di detta barca o imbarcazione, dovrà avere per ciascun viaggio e ciascun marinaio uno scudo, una spada e un’arma a testa, sotto pena di sei grossi per ciascuna di dette armi. E inoltre il padrone di detta barca o imbarcazione sarà tenuto ad avere e portare in ogni viaggio due balestre, o due archi, e tre lance, sotto pena di sei grossi per ciascuna di dette armi. E nessun padrone di dette barche o imbarcazioni potrà partire dal porto di Ragusa se prima non sarà stata ispezionata dagli ufficiali del Comune incaricati, sotto pena di cinque iperperi per ciascuno e per ogni volta.

80. Il vino non deve essere portato a Ragusa da fuori e pena per i contravventori.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che nessuno, sia cittadino che forestiero, di qualunque condizione e stato, osi o presuma in alcun modo o ingegno, per sé o per altri con la sua imbarcazione o di altri, portare o far portare a Ragusa o nel suo distretto o per tutta la Punta di Stagno vino da fuori. Né il vino da tutta la Punta di Stagno potrà essere portato a Ragusa né nel suo distretto per venderlo, donarlo o portarlo in casa sua o di altri, sotto pena di venticinque iperperi per ogni persona proprietaria del vino, e sotto pena di venticinque iperperi per ciascun padrone della imbarcazione che porterà detto vino, e sotto pena di iperperi dieci per ogni capitano di detta imbarcazione, e dieci iperperi per ogni scrivano della nave, e cinque iperperi per ogni marinaio di tale nave, e sotto pena di tre iperperi per ogni scaricatore di detto vino. E a chiunque possa accusare alcun contravventore andrà la metà della multa se la verità sarà trovata. Non pregiudicando ciò lo Statuto della libertà dato dal signor conte di Ragusa nello Statuto vecchio.

81. Nessuno può reclamare da Punta e pena per i contravventori.
Nell’anno del Signore 1337, indizione quinta, 12 marzo.
Noi Giacomo Gradenigo, conte di Ragusa, con i nostri Consigli Minore, Maggiore e Generale di detta città, e con la lode del popolo al suono delle campane come al solito riunito, statuiamo e ordiniamo che nessun nobile di Ragusa che ha interessi a Punta di Stagno, d’ora in poi potrà reclamare avanti il conte di Ragusa, presente o futuro, e al suo Consiglio se non abbia un ragionevole e giusto interesse o alcuna domanda o grazia da domandare o impetrare per sé o per altri, in alcun modo o ingegno, sotto pena di trentacinque iperperi per ogni contravventore. E nondimeno le cose predette perdurino.

82. Il formaggio deve essere portato a Ragusa.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che ciascun Raguseo, o che si dice Raguseo, che voglia portare o far portare formaggio in altri luoghi fuori da Ragusa, ossia a Cattaro  fino a Zara, pagherà al Comune per dogana un iperpero per ogni migliaio di libbre.

83. Quanto deve essere pagato alla dogana per ogni commercio fatto a Ragusa dai mercanti da venti iperperi e oltre.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che per ogni commercio fatto a Ragusa, da venti iperperi e oltre e di venti iperperi, sarà pagato al Comune per dogana un grosso e mezzo per ogni centinaio di iperperi sia dal venditore che dal compratore di detta merce.

84. Monete false. (Grossi contraffatti).
Nello stesso anno e indizione di cui sopra, 6 dicembre.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che nessuno di qualunque condizione osi o presuma in alcun modo o ingegno, per sé o per altri, nella città di Ragusa e nel suo distretto o altrove, fare o far fare monete simili, sia per conio che per lega a quelle fatte a Ragusa dal Comune sotto pena di iperperi novanta per ogni contravventore e per ogni volta, sebbene siano buone, così come quelle fatte a Ragusa. E a chiunque potrà accusare il contravventore, andrà la metà della pena se si potrà scoprire la verità. E chiunque froderà o falsificherà, o farà fare monete simili e peggiori d’argento, sarà arso finché morirà. E se vi fosse un accusatore, avrà dal Comune cento iperperi, se l’accusa sarà vera. E al contravventore di detta moneta o a chi l’avrà ricevuta, sarà amputata la mano destra, finché sia completamente staccata dal braccio. E chiunque trafficherà con detta moneta fino a cinquanta iperperi, pagherà al Comune dieci iperperi. E se trafficherà da cinquanta iperperi e oltre, perderà un quarto.
Nell’anno dalla natività del Signore 1394, 27 maggio.
Noi Clemente Marino Gozzi, rettore di Ragusa, col nostro Maggior e Minor Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane come al solito riuniti, volendo trovare un rimedio al detrimento della salvezza del bene pubblico, aggiungiamo al lodevole statuto sulle monete false che qualunque nostro ufficiale e qualunque altra persona della città e del nostro distretto, sarà tenuto e dovrà sotto il vincolo del giuramento distruggere tutti i grossi falsi che verranno nelle loro mani, se non vorranno accusare colui o coloro da cui li avranno ricevuti.

85. Il salario dell’ufficiale non potrà essere pignorato o sequestrato da alcun creditore.
(Il salario dell’ambasciatore o di altro ufficiale del Comune di Ragusa non potrà essere sequestrato per un debito).

Nell’anno del Signore 1338, indizione sesta, 16 febbraio.
Noi Giacomo Gradenigo, conte di Ragusa, con la volontà dei nostri Consigli Minore, Maggiore e Generale, e con la lode del popolo al suono delle campane nella piazza del Comune come al solito riunito, statuiamo e ordiniamo, che d’ora in poi il salario di ogni ambasciatore o di altro ufficiale o rettore del Comune di Ragusa soldo o paga, non potrà in alcun modo o ingegno, a richiesta di alcuno dei suoi creditori, per un debito o altra causa essere pignorato, sequestrato o ricevuto in pagamento; se non per volontà del suo creditore o dei suoi creditori, si intenda ricevuto il salario.

86. Nessun Raguseo potrà essere procuratore a Ragusa per un Cattarese.
Nello stesso anno e indizione, ultimo di febbraio.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che nessun Raguseo, di qualunque condizione, potrà essere procuratore di alcun cittadino di Cattaro avanti il signor conte e la sua Curia contro alcuno sotto pena di venticinque iperperi. E tale statuto durerà finché il Comune di Cattaro revocherà un simile Statuto che fecero a Cattaro contro i Ragusei.

87. Gli accusati di un reato, non trovati colpevoli, non pagheranno le spese di giudizio.
Lo stesso anno e indizione, 28 marzo.
Parimenti statuiamo e ordiniamo, che da ora in poi, se una persona fosse accusata per un reato o ingiuria, e se il signor conte d’ufficio abbia proceduto contro alcuno per indagare su una ingiuria o reato, e l’accusato contro cui il signor conte abbia proceduto d’ufficio, non sia trovato colpevole di detto reato o ingiuria, non sarà tenuto a pagare al Comune le spese di giudizio per detto reato o ingiuria.

88. Coloro che hanno un contratto di affitto non siano creduti se non per l’affitto di un anno trascorso.
Lo stesso anno e indizione e giorno.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che se una persona che ha un contratto verso alcuno per un affitto o una proprietà, di vigne o di terre, o di case o terreni, a termine o in perpetuo, e non abbia ricevuto il saldo ogni anno per tale affitto o rata secondo il tenore del documento o trascorso un anno, non avrà alcun credito per detto affitto o rata, se non per un altro anno.

89. Coloro che occupano un terreno o via del Comune, e pena per i contravventori.
Lo stesso anno e indizione, sette luglio.
Parimenti statuiamo e ordiniamo che chiunque abbia eretto una costruzione da oggi in poi e abbia occupato un  terreno o una strada del Comune, per ogni dito che sia trovato occupato, pagherà al Comune per multa cento iperperi per ciascuno e per ogni volta, o dovrà abbattere e distruggere detta costruzione.

90. Documenti notarili da registrare.
Nell’anno del Signore 1341, indizione ottava, 25 gennaio.
Noi Filippo Belegno, conte di Ragusa, vigilando sempre per il buono e quieto e pacifico stato della città, con la volontà e l’espresso consenso dei suoi Consigli Minore, Maggiore e Generale e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane come al solito riunito, vedendo provenire frutti migliori, da ciò statuiamo che ogni documento di debito o di potestà di debito o donazione sia fermo fino a trenta anni, e oltre detti strumenti siano cassati e dichiarati di nessun valore, a meno che detti documenti nel periodo di trenta anni siano presentati al signor conte e a tre giudici della sua Curia e non meno. E allora subito dovranno essere scritti su un quaderno del Comune che sarà mostrato a chiunque voglia vederlo. E così si farà per ogni singolo anno per trenta anni, altro non avrà valore. Aggiungiamo che tutti i sopraddetti documenti che abbiano più di trenta anni, dovranno essere presentati al signor conte e ai giudici entro due anni; tale termine, ossia due anni, per presentare tutti i sopraddetti documenti minori di trenta anni vogliamo avere, quando arriverà il predetto termine di trenta anni, e tale termine, ossia due anni, vogliamo si intenda il secondo presente in prima; non volendo che tali documenti o alcuni dei documenti che si producono o presentano non siano tenuti a confermare col giuramento. A meno che il debitore o altri ove e quando in suo pregiudizio vengano presentati detti documenti, voglia giurare. Tuttavia i documenti su cui si statuisce, non si intendano quelli relativi alla dote o proprietà o altri sopra non specificati.

91. Coloro che possono essere citati a casa nelle loro abitazioni.
Statuiamo inoltre che per qualunque documento pubblico o scritto della cancelleria di Ragusa che un Veneto avesse verso un Raguseo da qui all’indietro, potrà citare a casa il Raguseo, aggiungiamo: da oggi in poi qualunque Raguseo si sia obbligato con documento pubblico o scrittura della cancelleria di Ragusa “rinunciando”, potrà essere citato a casa, non altrimenti. Ciò moderando sanamente tale statuto, affinché se chi compare in giudizio con un documento “rinunciando” chiederà di citare qualcuno a casa, per primo sappia il signor conte con tre giudici e non meno, con prove idonee che il tale da citare è nella città di Ragusa o nel distretto e latita, non potrà essere citato, e allora sia citato a casa, e non altrimenti. Statuiamo tuttavia che in tali citazioni devono essere osservati i termini e gli ordini che erano osservati in precedenza. Ciò statuiamo solamente per i presenti due statuti, sia fermo e rato per il bene della città di Ragusa.

Segue sulla citazione. Nell’anno del signore 1365, indizione terza, 11 marzo. In Maggior Consiglio al suono delle campane come al solito riunito, con la lode del popolo in pubblica adunanza, come è usanza, al suono delle campane riuniti. Fu aggiunto il capitolo primo del libro terzo di tale Statuto. Per i precetti da statuire si dia fede al signor rettore e a tre giudici almeno che una persona, sia maschio che femmina, che dovrà essere citata, sia a Ragusa o nel suo distretto e latiti per non essere citata, potrà e dovrà essere citata a casa nella sua abitazione. E il termine che verrà dato a tale persona da citare a casa, se sia a Ragusa o nel suo distretto, sia a discrezione del signor rettore e dei suoi giudici, come riterranno, a comparire avanti la signoria, rispetto al luogo in cui si trova la persona da citare; e tuttavia sia che compaia o meno, si procederà secondo gli ordini di Ragusa.

92. Il componente del Maggior Consiglio non può aprire un macello.
Corrente l’anno del signore 1352, indizione decima.
Noi Giovanni Foscarini, conte di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso dei nostri Consigli Minore, Maggiore e Generale, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane come al solito riunito, statuiamo e confermiamo che nessuno che faccia parte o possa fare parte del Maggior Consiglio d’ora in poi potrà aprire un macello né fare scorticare carni o bestie, né pesare carne, né stare in bottega di macelleria o pesare o tagliare carne o ricevere denaro per la vendita di carne, sotto pena di venticinque iperperi per ciascuno e per ogni contravvenzione. E gli addetti ai pesi saranno tenuti col giuramento a indagare e accusare i contravventori; e anche ogni persona che possa accusarli. E sia agli addetti ai pesi che agli accusatori andrà metà della multa, se la verità si potrà provare. E il contravventore sarà espulso in perpetuo dal Maggior Consiglio, e in nessun modo potrà avere un incarico o un beneficio a Ragusa.

93. Se alcuna persona di servizio riceverà qualcosa senza richiesta o licenza del signore o padrone sia imputato.
Addizione al presente Statuto, al tempo del signor Filippo Orio, onorevole conte della città di Ragusa, corrente l’anno del Signore 1348, indizione prima.
Noi Filippo Orio, conte di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso dei nostri Consigli Minore, Maggiore e Generale di detta città, con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane come al solito riunito, statuiamo e confermiamo che una persona di servizio, o chiunque abiti con altra persona al servizio in ogni modo, ad anno, giorno o mese, riceva qualcosa dei beni di colui con cui vive, senza che il signore o padrone o padrona lo sappia e gli sia chiesto, o contro la loro volontà, sia che il padrone o la padrona gli abbiano dato qualcosa per conservarla o darla o governarla e tale persona di servizio della cosa data o ricevuta in comodato, abbia fatto diversamente da quanto il padrone o la padrona abbiano detto o commissionato, ossia contro la loro volontà, siano imputati di furto, e così secondo la forma dello Statuto sui furti dovrà essere giudicato e punito.

94. Il padre potrà testare su tutti i suoi beni.  
Addizione dello Statuto, al tempo del magnifico e potente signor Pietro Giustiniani, onorevole conte della città di Ragusa, nell’anno del Signore 1349, indizione seconda.
Noi Pietro Giustiniani, conte di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso dei suoi Consigli Minore, Maggiore e Generale, e con la lode del popolo in pubblica adunanza al suono delle campane nella Piazza del Comune come al solito riunito, considerando che lo Statuto del Comune, che dice che il padre morendo e avendo eredi non può disporre fino alla quarta parte dei suoi mobili e immobili, è contro la legge e i buoni costumi e contro il libero arbitrio e anche contro l’onore del padre, statuiamo e ordiniamo che il padre morente che abbia eredi potrà distribuire, disporre e testare su tutti i suoi beni, sia mobili che immobili così come e dove vorrà a sua volontà, nonostante un capitolo o capitoli dello Statuto. Con questa addizione, per rispetto del sacro matrimonio, è tenuto e deve lasciare a ciascuno dei suoi eredi una parte dei suoi beni, che decidiamo dovrà essere un decimo di ciò che a detto erede andrà in parte e per la sua parte. E se il padre non avrà lasciato a tale erede un decimo, come detto, dopo la morte del padre avrà la decima parte ossia un decimo. E la parte o particella lasciata dal padre all’erede, sia ferma in perpetuo all’erede, e gli altri eredi non potranno fare o muovere questioni, né chiedere la quota in alcun modo o ingegno, rimanendo sempre in vigore il capitolo dello Statuto sul possesso, secondo l’antico Statuto.

Nell’anno del Signore 1365, indizione terza, 20 novembre. Con l’espresso consenso del Minore e Maggiore Consiglio, e con la lode del popolo come al solito riunito, fu dichiarato il presente Statuto: chi ha proprietà a Punta e a Stagno, morendo da ora in poi, avendo eredi o no, potrà testare e disporre della sua parte a Stagno e a Punta a sua volontà come a Ragusa, riservando sempre la parte che deve all’erede, secondo lo Statuto di Ragusa, e gli oneri a cui è tenuto o sono tenute dette proprietà del Comune di Ragusa e salvo il possesso dei signori, secondo l’ordine di Ragusa.

95. Successione delle donne, ecc…
Parimenti statuiamo che ogni donna che non ha eredi potrà disporre e testare fino alla metà della sua dote ricevuta per il matrimonio verso chi e come vorrà. Il residuo di detta dote andrà al padre se lo avesse. E se non avesse il padre e avesse la madre, e la dote sia uscita dai beni della madre, andrà alla madre. E se non avesse la madre e avesse fratelli, andrà ai fratelli per quota. E se non avesse fratelli e avesse sorelle non sposate, andrà ad esse. E se non avesse sorelle non sposate, e avesse nipoti, ossia figli del fratello, andrà ai nipoti maschi. E se accadesse che la testatrice non avesse padre, madre, fratelli, sorelle e nipoti, la testatrice potrà testare e disporre  e dispensare tutta la sua dote a sua volontà, secondo l’antico Statuto e consuetudine. E ogni altro statuto contrario sia cassato e vano in perpetuo.

96. La proprietà di immobili non può essere lasciata secondo le regole per i mendicanti e modo di conservarla per coloro a cui rimane.
Parimenti, noi Pietro Giustiniani ecc…, statuiamo e confermiamo che nessuno potrà o dovrà disporre di una proprietà immobiliare secondo le regole per i mendicanti. E se una persona lo fosse e poi disponesse di una proprietà immobiliare secondo dette regole, il signor conte con il suo Minor Consiglio e tre procuratori buoni e legali e timorati di Dio, eletti dal signor conte e dal suo Minor Consiglio, saranno tenuti e dovranno fare vendere e liberare tale proprietà di cui si è disposto secondo dette regole, entro due anni da quel giorno, ossia dal giorno di questo fatto. E il denaro della vendita di detta proprietà dovrà essere dato e distribuito come disposto dal testatore, o in genere commestibile, se avesse necessità di vitto, o in cose più necessarie alla chiesa, come parrà a detti tre procuratori. Tuttavia, se rimanesse denaro a detti procuratori, dovranno darlo e distribuirlo, o ai poveri o a persone pie, o per sposare le orfane e le donne povere, o altre cose più necessarie come a loro parrà, non ritardando di distribuirlo finché non rimarrà denaro da questa vendita.

97. Di coloro che si tingono il volto di carbone e altre travestimenti proibiti e contravventori.
Parimenti noi Pietro Giustiniani, conte predetto, poiché spesso accade che alla festa di Pasqua di resurrezione del Signore nostro Gesù Cristo alcuni anzi molti con travestimenti e altre cose tingono di carbone il proprio aspetto trasformandolo in altra forma abominevole e turpissima, e sotto tale specie molti ed enormi mali ne vengono e possono venire, da cui risse, decessi e scandali, che dispiacciono a molti e sono odiosi ai più volendo ovviare agli abusi, statuiamo e confermiamo che nessuno, sia nelle festività che in altri periodi, dovrà con travestimenti o altre cose, in alcun modo o ingegno, tingersi di carbone né travisarsi. E il contravventore pagherà per ogni volta per multa cinquanta iperperi, e all’accusatore andrà metà della multa se l’accusa si potrà provare, e sarà creduto.

98. Privilegio dei Veneziani concesso ai Ragusei.
Esempio delle lettere di trasmissione dal dominio dogale di Venezia al Comune di Ragusa, nel 1358, indizione undicesima, 25 gennaio, nel secondo mandato dell’egregio e potente signor Marco Soranzo, onorevole conte di Ragusa, con l’opera del quale il contenuto di dette lettere fu sapientemente e amichevolmente procurato.
Giovanni Delfino, per grazia di Dio doge di Venezia, Dalmazia e Croazia, signore della quarta parte e mezza di tutto l’impero di Romania, al nobile e sapiente signor Marco Soranzo, nel suo mandato di conte di Ragusa, e ai prudenti signori giudici, al Consiglio al Comune di Ragusa, ai diletti fedeli, salute e caro affetto. Ci avete scritto con vostra lettera data a Ragusa lo scorso penultimo di dicembre della consolazione avuta per l’avvento e le nomine dei nobili Paolo Loredan e Andrea Contarini, procuratori di San Marco, del diletto dei cittadini e dei nostri provvedimenti, mostrando che i loro provvedimenti per la vostra conservazione rispondono salubremente e utilmente, che a noi fu molto gradito e accettato. Dichiaraste anche la vostra pronta disposizione e fedeltà per il nostro onore, dispiacendovi per la novità di Zara, e offrendovi ampiamente a chiunque per il nostro onore e stato. Non reputiamo nessuno presso di voi nuovo in nessun modo, perché sempre in ogni stato e tempo mostraste in grande misura la pura devozione e la sincera fedeltà vostra. Nonostante sia lodevole il vostro plurimo proposito quindi raccomando ed è lecito prima per la salvezza e il vostro bene, o siamo dei dilettissimi figli, e intendiamo essere disposti con tutta la mente, tuttavia a noi ritorna il merito più pronto. Volendo a voi per vostra consolazione che, sia per la Slavonia che il Golfo, facemmo e continuamente facciamo una potente armata di cui parte uscì, e alla spedizione del capitano generale e delle altre galee intendiamo virilmente procurare con sollecitudine, per la salvezza e l’onore vostro, e il vostro bene e degli altri nostri fedeli, col favore di Dio.
Tuttavia sul fatto della petizione vostra di poter navigare, vi dichiariamo che, come sapete, stimando il beneficio non immeritatamente carissimo, mai noi fuori dalla nostra terra vogliamo concedere immediatamente ma reputandovi non estranei, anzi sia noi stessi per la pura e grande devozione e fedeltà vostra, e avendo amore e cura verso di voi, gestire in ogni modo la patria, benignamente ammettiamo la vostra petizione.
Così tutti i Ragusei nati a Ragusa e quelli che da loro nasceranno saranno nostri cittadini di Venezia, e potranno commerciare come cittadini Veneti, navigando con le vostre navi, ritenendo in tal modo gli altri estranei o foresti, abitatori di Ragusa, che non abitassero da più di venticinque anni supportando gli oneri e le fazioni di Ragusa, come fanno i nostri a Venezia, non sia incluso nel beneficio sopraddetto, e soggiacendo a tutti gli ordini di Venezia. Tale grazia solennemente e graziosamente è completa e confermata in tutti gli opportuni consigli. Per cui la città di Ragusa e tutti i suoi cittadini possono ritenersi notabili membri e parti di Venezia. Inoltre vi sottolineiamo che per quanto riguarda la salvezza e il vostro favore vigilando continuamente, abbiamo mandato il nostro capitano, secondo la vostra richiesta, che ordini affinché due delle sue galee vengano per la vostra sicurezza e consolazione, affinché possiate sperare sempre nella grazia di Dio e nel nostro più grande favore.

99. Pena per coloro che impetrano una grazia, un ufficio o un incarico.
Nell’anno del Signore 1358, indizione undicesima, 5 marzo.
Noi Pietro Ragnina, Marino Bona, Giovanni Paolo Gondola, rettori della città di Ragusa, per volontà ed espresso consenso del Minore e Maggiore Consiglio, e con la lode del popolo in pubblica adunanza, statuiamo e confermiamo che nessun Raguseo o chi si chiami Raguseo, potrà o dovrà in alcun modo o ingegno, chiedere o ricevere alcuna grazia o ufficio o incarico, o altro dominio su altre terre, paesi o isole o luoghi, a Ragusa o fuori Ragusa, da alcuna persona, sotto pena della vita e perdendo tutte le sue proprietà. E all’accusatore, andrà metà di tutti i beni del contravventore, se si potrà scoprire la verità. Salvo per gli uffici dati dal Maggior e Minor Consiglio, secondo le antiche consuetudini. E nessuno potrà fare mandare alcuna lettera per sé o per altri, da alcuna persona contro tale ordine, sotto la pena sopraddetta.


(Traduzione di Cristiano Caracci e Monica Zamparutti Caracci)


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