Diritto Raguseo

Note al Libro Primo degli Statuti di Ragusa e sua traduzione

 

“Iusticia enim, ut legitur, est constans et perpetua voluntas ius suum unicuique tribuens. Hec est illa iusticia supra cuius solium si rex sederit, non oviabit ei quicquam malignum.”


Con vigore secolarizzante, tanto sta scritto nella premessa al Liber Statutorum di Ragusa, pubblicato il 29 maggio 1272; non è poco, se consideriamo come i concetti, espressi con chiarezza, di corrispondenza tra giustizia e legge giusta, insieme alla necessità della subordinazione del potere a questa legge, non appaiono usuali alle dottrine del XIII secolo;
onore, dunque, al dimenticato comes Marco Giustiniano e agli anonimi intellettuali e giuristi ragusei che hanno saputo elaborare un vero monumento del diritto, non a caso ampiamente citato dal Bonolis (per la materia di lui) nel suo classico manuale (G. BONOLIS, Il diritto marittimo medievale dell’Adriatico, Pisa, 1921).
La premessa non contiene soltanto l’espressione dei ricordati concetti, importanti anche per la storia delle dottrine politiche, ma, in ambito squisitamente giuridico, pare rilevante l’avere individuato nella analogia una fonte per affrontare quanto non fosse compreso negli Statuti.


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Spesso è stato argomentato di come apparisse probabile, dalle più diverse indicazioni e riferimenti, che Ragusa fosse dotata di Statuti anteriori a questo del 1272, andati perduti o forse affidati soltanto all’oralità. Dubbio incomprensibile alla lettura di questo testo dove esplicitamente sta scritto come la formazione del nuovo Liber nasceva dall’esigenza di unificare altri Statuti editi in tempi diversi, dispersi in più libretti in reciproca contraddizione.
Tanto si è voluto fare notare sia perché sul punto non rimanesse dubbio (Ragusa può vantare Statuti scritti precedenti al 1272); sia perché l’elaborazione (esagerando, quasi codicistica) delle norme è affatto in contrasto con la tradizione veneta: infatti, la Serenissima ha “sempre preferito procedere a successive integrazioni e a modifiche di aggiornamento delle proprie leggi fondamentali piuttosto che alla loro completa riscrittura” (G. ZORDAN, L’ordinamento giuridico veneziano, Padova,2005, 153); a dire come Ragusa, seppure in sovranità veneta (1205 -1358) mantenesse una propria autonomia, anche intellettuale, magari legata a Bisanzio più di Venezia.


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Le norme contenute nel Libro Primo non hanno, singolarmente considerate, una grande importanza giuridica, salvo quanto si è detto e, forse, per gli artt. 19-20 in tema di competenza processuale, ma costituiscono uno splendido affresco di una società medievale urbana, marinara e autonoma, pure obbligata a balzelli verso le autorità, ancora da pagarsi, alternativamente, in natura (una quantità dei pesci pescati, ad esempio) o in denaro: un affresco, crediamo, difficile da dimenticare per gli appassionati.


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Le traduzioni che seguono (libri 1,2,5,6,7) sono compiute sul testo latino contenuto nella straordinaria opera edita a Dubrovnik (AA.VV., Statut Grada Dubrovnik, Dubrovnik, 2002) a eccezione del libro 6 (materia penale) per cui ci si è riferiti, anche per darne nota, al manoscritto conservato nella biblioteca del Senato italiano.
Per ciascuno dei quattro libri tradotti è stata redatta una premessa: non trattandosi di un lavoro organico, ma composto in tempi diversi, potranno notarsi ripetizioni; tuttavia quelle premesse contengono altre notizie e informazioni sia specifiche per le materie trattate (diritti reali, penale, marittimo) sia riguardo la normativa statutaria in genere.

Cristiano Caracci, aprile 2010

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Libro degli statuti della città di Ragusa

Composto dal nobile signore Marco Giustiniani di Venezia, onorevole conte di Ragusa, nell’anno del Signore milleduecentosettantadue, quindicesima indizione del mese di maggio, confermato dal popolo di Ragusa convocato come al solito, domenica ventinove dello stesso mese.

Il sommo Dio fondatore delle cose, che creò dal nulla la macchina del mondo e la materia primordiale dal Verbo, e formò l’uomo dal fango a sua immagine e somiglianza, di poco inferiore agli angeli, semplice, giusto e retto lo pose in mezzo al Paradiso, e sottomise tutti coloro che vivono sotto il globo della luna a tale obbligo e diede la legge, che se rispettata mai si allontanasse da quella gloria. Dopo tuttavia il primo uomo, trasgredendo il mandato del suo Creatore, disobbedendo, fu cacciato dal paradiso e trasmise infelicemente ai posteri del suo genere morte, rovina e tutte le malattie che cercava nel gusto del pomo proibito; così accadde che, il primo uomo venne sottoposto a tutte le cose comuni agli uomini, e chiunque fosse contento delle cose che gli erano sufficienti, dopo crescendo la nequizia degli uomini, i mortali vollero possedere le proprie cose, e ognuno volle conoscerle; presero a desiderare maggiori ricchezze, la sacra fame dell’oro e la sfrenata cupidigia, madre e attrice di tutti i mali, presero ad ardere nei loro cuori presero a nascere tra loro discordie, contese e risse per cui commisero violenze, rapine, omicidi e altre malvagità; i potenti presero a opprimere e vessare ingiustamente i deboli: poiché il popolo non poteva più sostenere a lungo tutto ciò, si diedero leggi, costituzioni, statuti e consuetudini, affinché ciascuno potesse godere il suo diritto, e costringesse gli uomini a vivere bene e virtuosamente e ad evitare le malvagità con il timore della pena. Infatti la giustizia, come si legge, è la costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Questa è la giustizia sopra il cui soglio se il re siederà, non lo svierà nessun maligno. E’ questa che consolida gli imperi, corrobora i regni, amplifica i principati, accresce e moltiplica le città, prepara la concordia, nutre la pace, regge le genti e i popoli in stato pacifico e quieto.
Quindi vi è obbligo di vigilare e faticare per istituirla, amministrarla, mantenerla e renderla ai soggetti come debito dell’universo e del singolo ai quali, sia da Dio che dagli uomini sono stati indicati, timone dei popoli e governo delle città.
Per ciò noi Marco Giustiniani, conte di Ragusa, considerando con frequente meditazione che gli statuti di Ragusa da diversi conti editi emessi in tempi diversi, erano dispersi in più libretti e si contraddicevano tra sé, in alcuni casi erano superflui, in alcuni non poco lacunosi, anche oscuri e confusi: così che da essi nascevano plurime liti e alterchi e diverse opinioni anche tra i giudici. Non volendo subire ulteriormente per far cessare la discordia, donde il diritto deve sorgere, invocato il nome di Dio a suo onore e gloria, e la gloriosissima Vergine Madre sua, e il Beatissimo Marco evangelista, e il glorioso martire Biagio, il signor Doge e il comune di Venezia, il buono, quieto e pacifico stato di Ragusa, i predetti statuti così dispersi raccogliamo nel presente volume, avendo concordato sulle loro discrepanze, eliminando le cose superflue, supplendo alle lacune, delucidando le cose oscure e confuse; affinché in essi valga a trovare null’altro di superfluo, oscuro, minore o capzioso; ordiniamo e stabiliamo che il presente Statuto, confermato e concordato sia dal Minor che dal Maggior Consiglio, che anche dalla lode di tutto il popolo convocato come al solito al suono delle campane, sia in giudizio che stragiudizialmente da ora in poi obblighi e venga eseguito con la forza. E poiché non possono essere compresi tutti i casi negli articoli di legge, vogliamo che, siccome sono molti sia i negozi che gli statuti, se un caso non previsto emergerà non determinato dai presenti statuti, si ricorra a casi analoghi, e così si proceda dal simile al simile.

LIBRO PRIMO


1. Come il signor conte deve essere ricevuto dal Comune e dai canonici -Stabiliamo che il signor conte che per un periodo venga a Ragusa giurerà per il buon governo e la conservazione di tutta la città di Ragusa in pubblica udienza, secondo l’antica consuetudine di Ragusa convocata al suono delle campane, e di conservare e custodire le antiche consuetudini e gli statuti della città di Ragusa e giudicare secondo essi. Fatto tale giuramento, sia dato al signor conte, per mano del comune di Ragusa, il vessillo di San Biagio, vescovo e martire, in mano e sia investito della carica in tal modo in piazza dal contado e dal governo di Ragusa. Dopo di ciò il detto conte con il vessillo subito vada nella chiesa Maggiore, cioè Santa Maria nell’Arcivescovato, dove dai canonici e dai chierici sia ricevuto sulla porta della chiesa con incenso, acquasanta, e il Vangelo e il popolo della città lo seguirà mentre il signor conte entrerà nel coro della detta chiesa. Poi il conte arriverà avanti l’altare maggiore della chiesa, i detti canonici gli assegneranno il vessillo del Beato Biagio, e il signor conte, ricevutolo, fatto salvo il giuramento al signor Doge e al governo della città di Ragusa e alle sue consuetudini, avanti lo stesso altare giurerà di nuovo di mantenere e conservare tutte i diritti e consuetudini della stessa chiesa e dei canonici, così come nei seguenti capitoli si trova distintamente scritto; e in quell’ora i canonici di tale chiesa canteranno sotto l’arcata le lodi del conte, e per le lodi il signor conte darà loro di suo proprio un iperpero. Poi il signor conte ritornerà in Piazza accompagnato dal popolo, gli uomini di Ragusa gli giureranno fedeltà come previsto nel capitolo sulla fedeltà e secondo le antiche consuetudini della città. E così diverrà insigne conte.

2. Ciò che il signor conte è tenuto a fare per canonici, e i canonici per il conte - Affinché l’onore dovuto a Dio sia mostrato anche da coloro che reggono le città e governano su di esse, vogliamo che nel sacro giorno del Natale alla messa ad ogni singolo anno sotto l’arcata della chiesa Maggiore, i canonici e il signor conte di Ragusa cantino solennemente le lodi, per le quali il detto conte darà loro di suo proprio due iperperi, cioè uno per il signor doge e l’altro per sé. Nell’ottavo giorno dal Natale, naturalmente nella vigilia dopo il vespero, i canonici andranno dal signor conte in Castello con onori, incenso e due candele, dal quale saranno devotamente ricevuti; e detto signor conte darà loro due iperperi del suo proprio, i canonici delle due candele ne daranno una al signor conte. Similmente all’Epifania i canonici andranno dal ricordato conte in Castello con due candele e l’acqua santa, e il conte darà loro un iperpero del suo proprio, e i canonici gli daranno una di dette candele, di tali iperperi dopo tali giorni i canonici daranno al signor conte per la benedizione di un terzo di iperpero.
Al vespero della vigilia della festa di San Biagio il signor conte, per mezzo del suo vicario o di altri nobiluomini, il signor arcivescovo o i suoi vicari, se non sarà presente, i vescovi, gli abati, i canonici, i monaci, i presbiteri e gli altri chierici che si trovino nello stesso luogo vengano invitati a bere; essi riuniti dopo il vespero nel palazzo arcivescovile, vengano mandati a bere due quinti di vini bianchi, e per incensare anche le sante reliquie venga data loro una libbra di incenso bianco puro, e il vino e l’incenso vengano pagati dal Comune di Ragusa. Poi alla messa del giorno di San Biagio i canonici canteranno solennemente sotto l’arcata della chiesa Maggiore le lodi del signor conte; per tali lodi il signor conte darà loro del suo proprio un iperpero. Nella sacra Cena del Signore il Comune dia un quarto di vino bianco per la lavanda all’altare della detta chiesa. Il Sabato Santo poi il signor conte darà di suo proprio cinquanta libbre di cera pura per il cero che verrà benedetto in tale giorno e i canonici di tale cera daranno un cero di tre libbre per la benedizione del detto conte. Alla messa di Pasqua sotto l’arcata della chiesa Maggiore i canonici canteranno solennemente le lodi del signor conte, e per ciò egli darà del suo proprio un iperpero; e ciò sopra detto si farà annualmente. Ogni volta poi che il signor conte verrà a messa, detto diacono e suddiacono evangelario, dopo il signor Arcivescovo, gli daranno il libro e l’incenso e similmente la pace; e al vespero gli ridarà incenso.
E tutto ciò sopra scritto vogliamo sia osservato.

3. Potere del signor conte sulla nomina degli ufficiali - Affinché sia mostrata reverenza in tutte le cose al nostro conte, il signor conte che per un certo tempo sarà a Ragusa avrà il potere di scegliere cinque giudici, sei consiglieri del Minor consiglio e un vicario all’anno soltanto, così chi sarà giudice, consigliere o vicario per un anno, nell’anno seguente non potrà proseguire l’incarico; e tutti siano oriundi e nativi della città di Ragusa e presenti quando saranno scelti nella città di Ragusa o nel distretto; e il signor conte li faccia giurare come previsto nel capitolo sugli uffici sopraddetti; il signor conte con i predetti giudici e consiglieri del Minor Consiglio sceglierà tutti gli altri ufficiali e nell’anno seguente il signor conte sostituirà giudici e consiglieri del Minor Consiglio e il vicario secondo la sua volontà nel modo detto, e con essi tutti gli altri ufficiali. Se poi i consiglieri del Maggior Consiglio nel seguente anno non sembreranno a lui e al suo Minor Consiglio da sostituire, li potrà congedare, in tutto o in parte, nel Maggior Consiglio sopraddetto.
Nel corrente anno del Signore 1273, indizione 6° del mese di marzo, al tempo dell’illustre conte cavaliere Marino Badoer, conte di Ragusa, dallo stesso signor conte con il consenso del Minor e Maggior Consiglio e lode del popolo fu dichiarato questo statuto in tale modo: cioè chi è stato giudice per un anno nel seguente anno non potrà essere giudice né consigliere del Minor Consiglio; e similmente chi è stato consigliere del Minor Consiglio, nell’anno seguente non potrà essere consigliere di tale consiglio né giudice. Parimenti si aggiunge e si dichiara che il vicario nell’anno seguente non potrà essere vicario né giudice della Maggiore Curia né consigliere del Minor Consiglio. Parimenti chi è stato eletto vicario da un anno a cinque anni non potrà essere eletto in tale ufficio di vicario, computando il termine dal giorno in cui ha preso servizio nel detto ufficio. Parimenti il signor conte di detti dodici ufficiali, ossia giudici e consiglieri e vicario, ne deve scegliere uno per gruppo.

Come devono essere eletti i giudici, i consiglieri e i vicari - Per eleggere i migliori e più utili giudici della Maggiore Curia, i consiglieri del Minor Consiglio e i vicari dell’altro, stabiliamo e ordiniamo che ogni anno devono essere eletti quindici giudici, cioè dieci da il Maggior Consiglio in due camere e cinque dal Minor Consiglio: tutti i giudici per ognuno devono essere votati nel Maggior Consiglio prescelto; e i cinque che avranno il maggior numero di voti oltre la metà saranno eletti giudici. E similmente devono essere eletti i diciotto consiglieri, ossia dodici dal Maggior Consiglio in due camere e sei dal Minor Consiglio; di tutti questi i sei aventi il maggior numero di voti oltre la metà devono essere eletti consiglieri. Parimenti i tre vicari dovranno similmente essere eletti cioè due dal Maggior Consiglio in due camere, e uno dal Minor Consiglio; di questi l’unico che avrà il maggior numero di voti oltre la metà dovrà essere eletto vicario.
E di tutti questi giudici, consiglieri e vicari devono essere eletti uno per famiglia nobile e devono rimanere in detto ufficio dalla festa di San Michele nel mese di settembre per un anno. I giudici, consiglieri e vicari devono essere nobiluomini nativi di Ragusa e presenti in città o nel distretto, quanto saranno eletti; e devono giurare come previsto nel secondo libro degli Statuti, E chi sia stato giudice, consigliere, e vicario per un anno, nell’anno seguente non potrà essere giudice, consigliere né vicario. E il signor conte, o il rettore con la maggioranza del Minor Consiglio in cui devono essere presenti almeno nove (consiglieri), devono eleggere tutti gli altri ufficiali della città, tranne il tesoriere di Santa Maria e i procuratori di Santa Maria che devono essere eletti dal Maggior Consiglio come si eleggono i giudici e i consiglieri.
Non può essere nominato a un ufficio se non uno per famiglia nobile.
Parimenti stabiliamo ed ordiniamo che a un ufficio non può essere nominato se non uno per famiglia nobile; il signor conte deve far giurare tutti gli ufficiali, come previsto nel secondo libro degli Statuti per tali ufficiali.
Durata dell’ufficio di tesoriere e procuratore di Santa Maria.
Parimenti stabiliamo e ordiniamo che il tesoriere di Santa Maria e i procuratori di Santa Maria devono essere in servizio a vita, e nel modo in cui lo sono giudici e consiglieri.
Nessuno può avere più di una procuratoria.
Se alcuno fu eletto per la tesoreria o per altra procuratoria, cioè a Santa Maria o a San Biagio in Piazza, o in Ospedale o a Lacroma, stabiliamo e ordiniamo che non potrà avere che una procuratoria a sua scelta.
Titolari di una procuratoria che possono ricevere un incarico.
Parimenti vogliamo e ordiniamo che chiunque sarà tesoriere di Santa Maria, procuratore di Santa Maria, procuratore di San Biagio in Piazza, procuratore di Lacroma o dell’Ospedale in città potrà avere un altro incarico accanto ad una delle dette procuratorie o tesorerie.
Ufficiali che devono essere eletti per le calende di gennaio 1391 il giorno 12 di dicembre.
Nel Maggior Consiglio e in pubblica riunione come al solito riuniti al suono delle campane con lode del popolo, fu deciso e ordinato che d’ora in poi si debba effettuare l’elezione dei nuovi ufficiali alla fine del mese di dicembre; i quali devono stare in carica nei dei loro uffici dalle calende di gennaio per un anno fino alle calende del seguente gennaio, come si soleva fare dalla festa di San Michele fino all’altra festa seguente. Nonostante uno statuto o ordine contrario.

4. Quando il signor conte va a parlamentare, arbitrare o a trattare - Se a volte accadesse che il signor conte andasse ad arbitrato plenario per volontà del Comune di Ragusa, o per una trattativa con altro grande signore o con la comunità di un’altra città, a servizio e utilità del Comune e della città di Ragusa, il medesimo signor conte farà, con tutta la sua famiglia e con i Ragusei che chiamerà con sé, tale viaggio a spese del Comune di Ragusa secondo l’antica consuetudine.

5. Sale necessario alla famiglia del signor conte - Vogliamo anche che il Comune di Ragusa dia al signor conte il sale necessario a lui e alla sua famiglia, allo stesso prezzo a cui il Comune l’ha comperato.

6. Ciò che il signor conte riceve dalla macelleria - In onore del contado, il signor conte, che si trova per un periodo a Ragusa, riceva dalla macelleria della città: per ogni bue o vacca ucciso in tale macelleria per essere venduto, sedici follari; per ogni maiale otto follari; per ogni altro animale, ossia castrato o ariete, caprone o capra, e altri animali simili, quattro follari; e ciò se detti animali hanno più di un anno. Diversamente se hanno da sei mesi a un anno, sarà a discrezione di colui che custodisce la macelleria per il signor conte. Per quelli che hanno meno di sei mesi nulla andrà al detto conte. Se invece qualcuno uccidesse o facesse uccidere qualcuna delle dette bestie, e non portasse nulla da vendere a casa sua, niente darà al detto conte. Anche nelle domeniche di astinenza per le bestie uccise in tale macelleria nulla verrà pagato.

7. Ciò che il conte dà ai macellai - Alla vigilia dell’anno nuovo sul tardi vadano i macellai di Ragusa dal signor conte in Castello, ed egli per il suo onore dia loro per le calende un iperpero.

8. Ciò che i mugnai fanno al conte e il conte ad essi - Tutti i mugnai di Ragusa dovranno macinare in Comune nei loro mulini, tutto il frumento che il signor conte porterà a macinare per sé e la sua famiglia, con la sua barca e i suoi servitori, con i quali, se al signor conte piacerà, là uno dei banditori senza alcun prezzo chi mangia con i servitori del detto conte, è tenuto ad andare. I mugnai poi alla vigilia dell’anno nuovo verso sera andranno dal signor conte in Castello, il quale per il suo onore darà loro per le calende otto denari grossi.

9. Ciò che fa il conte per capitani e i marinai - Si sappia che alla vigilia di Natale dopo il vespero i capitani e i marinai di Ragusa andranno dal signor conte in Castello, e gli consegneranno un ceppo di legno e lo porteranno sul fuoco gioendo, e il signor conte per l’onore del contado darà loro per le calende due iperperi del suo proprio e anche da bere; e in tale giornata i camerari del sale del Comune di Ragusa daranno ai capitani a ai marinai del Comune due iperperi. E i procuratori della chiesa di Santa Maria di precetto al signor conte gli daranno dei beni di detta chiesa due iperperi. E se accadesse che una nave o navi di Ragusei, sia nel giorno di Natale o di Pasqua, entrasse nel porto di Ragusa, si sappia che a quella che entrerà per prima in porto e per prima calerà l’ancora in porto, il signor conte darà del suo proprio, secondo l’antica consuetudine, un iperpero.

10. Ciò che il conte riceve dai pescatori - Se una barca di pescatori andasse a Lagosta o a Curzola o dalle parti di Curzola a pescare con le reti, dei pesci che il Signore darà loro dovranno i pescatori di detta barca dare al signor conte una parte di tali pesci, così riceverà uno dai marinai di detta barca. E se la nave da aguglie andrà a pesca di aguglie, chi porterà la nave di detti pesci dovrà dare al signor conte una parte, così ne riceverà uno dai marinai; e similmente deve avere dalla nave degli sgombri e se una barca o barchetta andasse a pescare di notte con la lampara sgombri e suri, e ne prendesse più di cento, di detti pesci ne dovranno dare sei al signor conte; e se da cento a cinquanta dovrà dare tre pesci; se meno cinquanta non dovranno dare nulla al signor conte. E tali barche di pescatori che andranno a pesca con le reti e porteranno a Ragusa pesci salati da tre a più di dieci, daranno al signor conte per ogni barca di tali pesci salati due pesci, uno dei migliori e più grandi e uno medio e il terzo al vicario. E nessuna aguglia catturata con la pesca a strascico e con la canna e con la rete dovrà essere data al signor conte. E si sappia che i pescatori andranno dal signor conte in Castello alla vigilia dell’anno nuovo, ed egli per l’onore del suo contado darà loro cinque denari grossi, secondo l’antica consuetudine. E gli altri pescatori, che andranno a pesca con altri sistemi nulla dovranno dare al conte. E a tutti gli altri maestri di tutte le arti, che sono Ragusei, dia il signor conte alla vigilia dell’anno nuovo per le calende quello che vorrà, e a sua scelta.

11. Quando il conte permette di pescare nelle acque di Ombla - Il signor conte, se vorrà, potrà far custodire a sua volontà un’acqua, chiamata Ombla, quindici giorni prima di Natale, e a sua volontà prima di Natale far pescare; e per amore suo e delle sue preghiere i pescatori andranno a pescare in dette acque gratuitamente; e il suo vicario è tenuto ad andare con tali pescatori, se il signor conte lo vorrà; e tali uomini dovranno andare a spese del signor conte; e se Dio darà loro pesci, il signor conte li pagherà secondo la sua volontà e discrezione.

12. Legna e fiaccole ricevute dal signor conte - E si sappia che tutti gli uomini, sia ragusei che forestieri, che portano fiaccole a terra su di sé o sopra un cavallo da soma, daranno al signor conte delle medesime fiaccole per ogni fascio un pezzo medio, e gli uomini che vanno per mare con la barca sulle isole per prendere fiaccole, daranno al signor conte un ceppo da fiaccola, il più grande di quelli che si trovano sulla barca, per ogni barca; e il vicario darà loro un ceppo dei più piccoli. E tutti gli uomini che portano legna a Ragusa per fare fuoco sia con cavalli che con cavalli da soma via terra, daranno al signor conte un legno medio per ogni fascio, e uno dei suoi servitori dovrà stare sulla strada da cui verranno gli uomini con le legna e prenderla. E gli uomini poveri e le schiave che porteranno su di sé legna o frasche nulla dovranno al signor conte. E tutti i lavoratori delle vigne, sia schiavi che liberi, che andranno di sabato nelle vigne e porteranno al signor conte un legno per ogni uomo di quelli che portano legna. Tutti i lavoratori che verranno con la barca loro o di altri e porteranno legna a Ragusa daranno al signor conte un carico di tali legna per ogni barca; e gli uomini che andranno per mare con la barca a prendere legna e portarla a Ragusa, daranno al signor conte un carico di tali legna per ogni barca; e lo schiavo del signor conte dovrà andare a ricevere tale legna sulla riva del mare. E se un raguseo togliesse una vigna secca o tagliasse un frutteto, e portasse la legna della vigna o del frutteto, non per venderla ma per la sua casa, nulla dovrà dare al signor conte. E se il signor arcivescovo o qualche monaco per sè o per la sua famiglia volesse legna e non per venderla la portasse a Ragusa, nulla dovrà dare al signor conte di tale legna. E se un uomo di Ragusa con la barca, per l’utilità della sua casa e non per venderla, nulla dovrà dare al signor conte di tali legna sia laico che chierico; e se qualcuno sia chierico che laico vendesse una parte della legna, sarà tenuto a dare al signor conte di tale legna, secondo quanto sopra detto. Tutte le navi sia grandi che piccole che verranno in viaggio a Ragusa, e venendo gli uomini tagliassero legna e la portassero a Ragusa, saranno tenuti a dare al signor conte tanta legna quanta ne può portare un uomo per ciascuna nave. E tutte le navi o barche che avranno portato legna a Ragusa per fare calce, o per seccare pelle di caprone e pelli, non darà nulla al signor conte di tali legna.

13. L’arboratico dei forestieri che vengono per mare - Si tenga presente che tutte le navi e barche che vengono da tutto il Regno di Puglia, e di Sicilia, e da tutta la Marca di Ancona, e da tutta la Romagna, daranno al signor conte per l’arboratico un iperpero per ciascun albero, e anche meno, secondo la volontà del medesimo signor conte se abbiano fatto porto a Ragusa. E si sappia che le navi da Ancona, Bari, Termoli, Barletta, Siponto, Ortona, Molfetta, Giovinazzo, Vieste, Senigallia e Fano nulla dovranno al signor conte per arboratico.
E gli uomini di Civitanova daranno per arboratico secondo l’antica consuetudine, cinque soldi. Tutte le navi o barche che vengono da Arta fino a Durazzo a Ragusa e faranno porto, daranno per arboratico della nave un iperpero per ogni albero; e per la barca daranno secondo la volontà del conte da mezzo iperpero in giù. E la barca del governatore da qualunque luogo nulla darà per arboratico. Tuttavia tutte le navi o barche dei forestieri che navigano secondo l’uso di Ragusa e portano parte delle opere della chiesa di Santa Maria Maggiore, nulla daranno per arboratico né per sosta.

14. Ciò che riceve il conte degli schiavi e schiave venduti - Si sappia che tutti i ragusei e i forestieri che acquistano uno schiavo o una schiava e li trasferiscono da Ragusa per mare, daranno al signor conte per ogni schiavo o schiava che fosse più alto o alta da due cubiti in su, un terzo di iperpero o quindi meno, secondo la volontà del signor conte. E se lo schiavo o la schiava fosse alto meno di due cubiti o, nulla verrà dato al signor conte, secondo l’antica consuetudine.

15. Come gli uomini di Lagosta diedero sé e l’isola al Comune di Ragusa - Si noti che, quando gli uomini di Lagosta si diedero al Comune della città di Ragusa, con tale patto diedero sé e la loro isola, cioè, il Comune di Ragusa giurò di mantenere tutte le loro antiche consuetudini tra di loro, e secondo tale patto col Comune di Ragusa si diede per sua volontà al suo conte, che a quel tempo era a Ragusa.

16. Vacca per margarisio - Si sappia che ciò che il signor conte deve ricevere come vacca data per margarisio, una coscia e mezzo prosciutto per onorificenza, e il vicario deve dividere in pezzi tutte le altre carni di tale vacca per i buoni uomini di Ragusa.

17. Imbarcazioni che portano frumento e ne danno parte al signor arcivescovo - Ogni nave o altra imbarcazione che naviga secondo l’uso di Ragusa, e porta una parte alla chiesa di Santa Maria, venne a Ragusa a scaricare e fu caricata o caricato con grano o frumento o sale, colui che fece il carico dovrà dare al signor arcivescovo e al sacrista della chiesa di Santa Maria e il provveditore all’annona e ai banditori nulla devono avere ma il vicario deve avere il suo moggiatico. E se il raguseo avesse parte di detto carico con forestieri, il raguseo dovrà dare al signor arcivescovo e agli altri sopraddetti la sua parte. Questa è la parte che dovrà dare al signor arcivescovo di grano, frumento e sale, ossia da cinquanta moggi fino a mille moggi, deve averne un moggio; e da duecento cinquanta moggi fino a cinquecento moggi, deve avere due cupelli; e da centocinquanta moggi in giù, deve avere per razione da due cupelli in giù. E da mille moggi fino a millecinquecento, deve avere due moggi. E da millecinquecento moggi fino a duemila, deve avere tre moggi. E da duemila moggi fino a millecinquecento, deve avere quattro moggi. E da tale numero in su, deve avere un moggio. E se non ci fosse un milliario completo e mancasse un moggio, o due o più, non deve avere se non un moggio; e così degli altri cereali e del sale.
Nel corrente anno del Signore 1292, nella quinta indizione, il giorno mercoledì, 14 del corrente maggio, al tempo del nobile signore Andrea Dandolo, conte di Ragusa, fu revocato tale statuto, per quanto è di ragione e per la parte da dare di frumento e grano al signor arcivescovo, al sacrista, ai banditori e al provveditore all’annona e del moggiatico al vicario, come nella parte seguente di tale statuto si trova. Infatti il sale e le altre distinzioni ottenevano la fconferma. E chiunque porterà al signor arcivescovo o al suo nuncio da due cupelli in meno, deve dare al signor arcivescovo o al suo nuncio da bere a colui che gli portò il frumento; e se un comandante o un altro marinaio gli porterà un moggio completo, il signor arcivescovo o il suo nuncio gli darà meno quarto di vino; e se gli porterà due moggi, il signor arcivescovo o il suo nuncio gli darà un quarto di vino; e se gli porterà più di tale numero di frumento, il signor arcivescovo o il suo nuncio non darà più di un quarto di vino; e se gli porterà il sale, il signor arcivescovo o il suo nuncio gli darà da bere. E se una nave o altro legno navigherà oltre il capo di Santa Maria di Leuca e oltre Lingua in viaggio e venisse a Ragusa, per questo viaggio dovrà dare al signor arcivescovo un iperpero della nave, e il signor arcivescovo dovrà dare al comandante con suoi due soci, che il comandante vorrà portare con sé, un pranzo. E se una nave venisse a Ragusa, e navigasse come detto sopra e portasse grano o frumento o sale a Ragusa, dovrà dare al signor arcivescovo o al suo nuncio grano, frumento e sale, come detto sopra sul capitolo del grano, e in più un iperpero. Si sappia che i comandanti e i marinai di Ragusa andranno dal signor arcivescovo alla vigilia dell’anno nuovo, ed egli per il suo onore darà loro per le calende un iperpero.

18. Ciò che i pescatori danno all’arcivescovo - Si prenda nota che se una barca di pescatori andasse a Lagosta o a Curzarola o dalle parti di Curzarola a pescare con le reti, dei pesci che il Signore darà loro, dedotte le spese, i pescatori dovranno dare al signor arcivescovo una parte di tali pesci, così ne riceverà uno dai marinai della barca per ogni barca.
E se accadesse che una barca da aguglie andasse a pesca di aguglie, chi porterà la barca, dedotte le spese, di tali pesci dovrà dare al signor arcivescovo una parte, così ne riceverà uno dai marinai della barca. E così dovrà ricevere dalla barca dei lanzardi.
E se una barca andasse a pescare di notte con la lanterna a prendere pesci lanzardi o suri, e ne prendesse cento o più, i pescatori dovranno dare al signor arcivescovo di tali pesci sei pesci e non di più, e da cento a cinquanta dovranno dare tre pesci, e da cinquanta in giù nulla venga dato di tali pesci.
Tuttavia il signor arcivescovo, se lo vorrà, può fare custodire l’acqua chiamata Ombla e fare pescare in essa il giorno di Giovedì Santo, nella Cena del Signore, a sua volontà. E se la festa di San Benedetto cadesse di Giovedì Santo, allora l’abate di San Benedetto deve fare pescare nell’acqua detta Ombla a metà con il signor arcivescovo, tuttavia a spese di ambedue le parti.

19. Cause del signor arcivescovo presso la curia secolare -

Se accadesse che il signor arcivescovo fosse in causa con uno o più laici avanti il signor conte e la sua Curia, e vincesse, il signor conte, per l’onore di Dio e della Santa Chiesa, giudichi senza tasse di causa; se perdesse, nulla pagherà ai giudici per tale giudizio.

20. Causa degli uomini del signor arcivescovo - E se gli uomini che abitano nei poderi del signor arcivescovo avessero delle questioni tra di loro per debiti, o per altri fatti o mediazione, o per patti o lamentele, si sappia che il signor arcivescovo o il suo vicario le dovrà giudicare o dirimere. Tuttavia, se un uomo tra quelli che abitano nei poderi del signor arcivescovo, ferisse a sangue un altro uomo, o rubasse o rapinasse, egli dovrà essere giudicato avanti il signor conte e la sua Curia. Se un uomo di Ragusa avesse una questione o legge con gli uomini che abitano nei poderi del signor arcivescovo, tali uomini dovranno essere giudicati con gli uomini di Ragusa avanti il signor conte e la sua Curia.

21. Il monastero di Lacroma e i suoi poderi - E se gli uomini che abitano nei poderi o nei casali di Lacroma, avessero qualche questione tra di loro per debiti, o per altra mediazione, o per patti o altre lamentele, si sappia che il signor abate che al tempo fosse nel monastero di Lacroma, o il suo vicario o procuratore, deve giudicarli e fare giustizia. Se invero un uomo tra quelli che abitano nei poderi o nei casali del monastero di Lacroma ferisse a sangue, o rubasse o rapinasse, egli dovrà essere giudicato avanti il signor conte e la sua Curia. Se gli uomini di Ragusa avessero una questione o legge con gli uomini che abitano nei poderi e negli edifici del monastero di Lacroma, tali uomini del monastero dovranno stare e fare causa avanti il signor conte e la sua Curia. Se anche gli uomini di Ragusa avessero una questione o legge con gli uomini che abitano nei poderi e negli edifici del monastero di Lacroma, detti uomini del monastero devono stare e fare causa con gli uomini di Ragusa, avanti il signor conte e la sua Curia, secondo l’antica consuetudine, che è tale: perché il responsabile deve avere tutti i giudizi della terra di Ragusa; e anche se il responsabile vuole rinunciare alla Curia del signor conte, e accordarsi con colui con cui è in lite, e adire altri giudici da fuori; è lecito che lo faccia. E anche se la lite fosse relativa a più di dieci iperperi, essi potranno andare fuori dalla città da Ragusa.
Ma il signor abate di Lacroma, o i suoi monaci o il suo procuratore devono invitare per onorare il signor conte che ci fosse a quel tempo a Ragusa, alla festa di San Benedetto. E se il signor abate di Lacroma volesse far custodire l’acqua detta Ombla per la festa di San Benedetto, può farci pescare e farla custodire per otto giorni prima di tale festa. Se il monastero di Lacroma poi avesse una nave o barca o altra imbarcazione e navigasse, si sappia che di ciò che appartiene alla chiesa di San Benedetto, nulla dovrà dare all’opera della chiesa di Santa Maria per quota. E anche se un uomo che abita in tale monastero, andasse su qualche nave estranea o altra imbarcazione, nulla dovrà dare all’opera della chiesa di Santa Maria per quota di ciò che a sé per detto monastero. E se in tempo di guerra, quando i laici non hanno osato andare e mandare nunci se ci fosse necessità, i monaci di detto monastero dovranno andarci se lo volesse l’abate. Si noti che il monastero di Lacroma nulla deve dare per il carro su cui ci siano funi, né per le bilance, né per le stadere, all’opera di Santa Maria.
Al tempo del nobile signor Marco Dandolo, conte di Ragusa, per volontà del Minor e Maggior Consiglio e con la lode del popolo riunito al suono delle campane, come è costume, stabiliamo e ordiniamo, che il signor conte col suo Minor Consiglio, che fosse al tempo a Ragusa, debba scegliere tre procuratori e un avvocato per il monastero di Lacroma nella festa di San Michele, e di tali procuratori ne rimanga uno di questi in tale anno, così al signor conte e al suo Consiglio è piaciuto.

22. Ciò che riceve il sacrista di Santa Maria dalle imbarcazioni e dalle navi - E si sappia che il sacrista, che al tempo fosse nella chiesa di Santa Maria Maggiore, deve avere la metà del grano e del frumento e del sale, così il signor arcivescovo avrà una parte, cioè, se il signor arcivescovo avrà due moggi, il sacrista deve avere un moggio, il sacrista deve avere due cupelli; e così tanto di grano che di frumento e di sale tutto a metà. E se un comandante con i suoi marinai imbandisse una cena, il sacrista di Santa Maria deve dare loro cera sufficiente per tale cena.

23. Parte data dai naviganti alla chiesa di Santa Maria - Ogni nave, sia piccola che grande, e ogni altra imbarcazione che navigasse in tutti i viaggi, con denaro o senza denaro, di ogni guadagno che il Signore diede loro, essi dovranno dare una parte completa all’opera della chiesa di Santa Maria, così ne riceverà una dai marinai, con tutti i denari che il detto marinaio ha in entega; tranne le barche dei pescatori, e che vanno a raccogliere legna per il fuoco o per la calce, che nulla daranno.
Nel corrente anno del Signore 1309, indizione 7°; il giorno 6 del corrente mese di gennaio, al tempo del nobile signore Andrea Dauro, conte di Ragusa, per volontà del Minor e Maggior Consiglio e con la lode del popolo, in pubblica udienza in Piazza al suono delle campane come al solito riunita, fu aggiunto questo statuto: ogni nave e barca, grande e piccola, e qualunque altra imbarcazione che navigheranno, con denaro o senza denaro, oltre Meleda e oltre Malonta, paghino la parte di Santa Maria quanto riceve un marinaio comune. E per tale marinaio comunale si intenda che tutte le navi e le barche e le imbarcazioni che portano 200 steri o più, paghino la parte di un marinaio in ragione di 24 follari per ogni giorno. E tutte le barche e le altre imbarcazioni che portano da 200 steri in giù, paghino per la parte di un marinaio in ragione di 20 follari per ogni giorno per tutto il tempo che resteranno, iniziando dal giorno in cui usciranno dal porto di Ragusa fino al giorno in cui ritorneranno; ma se una nave o barca o altra imbarcazione avesse un’avaria, Dio non voglia, nulla pagherà.
Al tempo dell’egregio cavaliere Marino Badoer, conte di Ragusa, il medesimo signor conte, per volontà del Minor e Maggior Consiglio e con la lode del popolo fu emanato tale statuto per la parte che viene attribuita dai naviganti alla chiesa di Santa Maria in tal modo, che una parte, quanto ha uno dei marinai comuni, detratte le spese, dia alla chiesa sopradetta; si intenda di quelli che vanno a marinaricia.
Nel corrente anno del Signore 1293, il giorno 29 del mese di ottobre.
Noi Marino Badoer, cavaliere, conte di Ragusa, per volontà del Minor e Maggior Consiglio e con la lode del popolo riunito al suono delle campane, come è d’uso, in onore della Beata Maria Vergine, stabiliamo e ordiniamo che d’ora in poi tutti i proprietari di mercanzia, che spediscono le proprie merci per terra e per mare perché siano portate in Slavonia, dovranno pagare alla chiesa di Santa Maria un denaro grosso per ogni salma; per l’asino paghino solo metà salma. Tranne il vino, il sale e i fichi. E si intenda che per tutte dette merci generalmente si paga il diritto di dogana.
Nel corrente anno del Signore 1308, indizione 6°, il giorno 7 del mese di ottobre, al tempo del nobile signore Andrea Dauro, conte di Ragusa nel suo secondo mandato, per volontà del Minor e Maggior Consiglio e con la lode del popolo riunito al suono delle campane, com’è d’uso, fu deciso e firmato, che dove nel precedente statuto, si dice che vengano eletti due procuratori di Santa Maria Maggiore, si legga vengano eletti tre procuratori di Santa Maria Maggiore,che avranno la stessa autorità, e che uno dei tre al termine dell’anno rimanga con gli altri due che verranno eletti. E si sappia che tutto ciò che il mare porterà, dalla chiesa di San Giacomo di Visnizza e da Punta Secca di Crumula verso il porto di Ragusa, dovrà essere della chiesa di Santa Maria, tranne i legnetti per il fuoco.

24. Come devono essere eletti i procuratori della chiesa di Santa Maria, e il loro ufficio - Poi il signor conte che al tempo fosse a Ragusa, con i suoi giudici e il Minor Consiglio, deve eleggere e incaricare due procuratori o più a sua volontà per l’opera e il reddito della chiesa di Santa Maria Maggiore, che il signor conte deve obbligare col giuramento, affinché si occupino fedelmente dei negozi di tale chiesa. E tali procuratori devono ricevere tutto ciò che appartiene all’opera di tale chiesa e custodirlo fedelmente per l’utilità della chiesa; e per tutto ciò che tale chiesa deve ricevere, tali procuratori possono fare causa per la chiesa, se vorranno avanti la Curia del signor conte o meno. E se tali procuratori non vorranno adire il signor conte e la sua Curia, per chiedere giustizia su qualcuno o qualcosa, che tenga i beni di tale chiesa o i suoi redditi, il signor conte con la sua Curia deve fare giustizia, e la chiesa non deve dare alcunché per il giudizio ai giudici di ciò che abbia vinto in causa. E il signor conte senza tasse di causa, se fosse necessario, deve precettare al suo vicario o al banditore affinché essi pignorino quello o quelli che possiedono i beni di detta chiesa. E essi devono pignorare senza tasse. E se i procuratori senza il signor conte e la sua Curia volessero precettare il vicario o i vicari che fossero al tempo a Ragusa, e pignorare chi fosse in possesso dei beni di detta chiesa, potranno farlo senza precetto del signor conte e della sua Curia; e il vicario e i banditori sono tenuti e devono fare come è detto. E anche se detti procuratori volessero pignorare alcuno che avesse beni o redditi di tale nominata chiesa, potranno farlo, e possono precettare i custodi del pegno che hanno pignorato in ogni luogo per la chiesa. E se una lite o discordia nascesse per detto fatto, e i procuratori venissero con colui o coloro con cui sono in lite o discordia, avanti al signor conte e alla sua Curia, i detti procuratori non devono sostenere né avere alcun danno o pagare multe per tale lite o discordia; e sono anche tenuti a fare causa quando lo vorrà il signor conte. E alla fine del mandato essi stessi dovranno dare tutto ciò che avanzi dei beni della chiesa agli altri procuratori eletti per l’anno seguente. E i procuratori che fossero eletti, devono sempre fare come detto sopra. E anche il signor conte con il Comune di Ragusa non può usare la forza su alcuno di detti procuratori, né ricevere denaro o altro dei beni della chiesa; né essi per sua volontà devono dare alcunché ad alcuno.

25. Reddito delle stadere, pesi, carri e delle bilance che riceve Santa Maria - Poi i redditi che vengono ricevuti e lucrati per le bilance o le stadere con i pesi e per il carro con tutte le funi siano dell’opera della chiesa di Santa Maria Maggiore. E i procuratori dell’opera della detta chiesa devono trovare due stimatori; a uno diano la stadera con le bilance e con i pesi, all’altro la ferramenta del carro. E tali procuratori devono denunciare quei due buoni uomini al signor conte, ed egli deve obbligarli con il giuramento affinché essi ricevano l’introito per le stadere, bilance, pesi e carro fedelmente e in buona fede, e daranno ai procuratori di Santa Maria tutti i redditi e tutto il denaro che riceveranno per detti strumenti.

26. Ciò che i procuratori di Santa Maria ricevono dai pescatori - Ogni barca o barcaccia dei pescatori che vada a pesca di notte con la lampara di pesci lanzardi o suri, deve dare ai procuratori della chiesa di Santa Maria da cento pesci in su sei pesci comuni, e da cento fino a cinquanta deve dare tre pesci, e da cinquanta in giù nulla darà per ciascuna barca. E detti pesci devono essere divisi in due parti, la metà sarà dei procuratori di Santa Maria e l’altra metà del protomaestro dell’opera della chiesa di Santa Maria; e se detti procuratori vogliono dare al protomaestro la loro metà dei pesci, lo possono fare. Poi le barche che vanno a pesca con la barca per le aguglie, devono dare una parte di tali pesci ai detti procuratori, secondo ciò che prese uno di tali pescatori per la sua parte ogni barca. E tali pesci devono essere divisi come sopradetto . Poi tutte le barche che vanno a pesca con la barca per lanzardi e suri, daranno una parte di tali pesci ai detti procuratori, e tali pesci devono essere divisi come sopra detto. I procuratori del’opera della chiesa di Santa Maria devono dare un maiale comune al protomaestro della chiesa sopra detta a Natale, o un iperpero, come vorranno i procuratori, e dovrà essere posto tra i beni di detta chiesa; e a Pasqua devono dargli un castrato o mezzo perpero. E per l’anno nuovo i procuratori di Santa Maria devono dare al protomaestro della detta chiesa due denari grossi, e ad ogni maestro che abbia lavorato nell’opera di detta chiesa, dodici milliarensi.
Parimenti i procuratori detti devono dare a ciascun maestro che abbia lavorato nell’opera di Santa Maria, a Natale, un quarto di maiale o tre carobe di follaro; e a Pasqua, un quarto di castrato o due carobe; e ciò è secondo volontà dei procuratori, sia dei beni della chiesa o meno. Poi i chierici di Santa Maria per l’anno nuovo vadano dai procuratori di tale chiesa con onori e incenso, e essi diano ai chierici un iperpero e da bere dei beni di detta chiesa. Parimenti i detti procuratori di Santa Maria per l’anno nuovo devono dare ai comandanti e ai marinai che allora si trovassero a Ragusa, due iperperi e non da bere dei beni della chiesa. E i procuratori della fabbrica di Santa Maria devono fare radunare tutti i sassi e le immondizie intorno alla chiesa di Santa Maria e in tutta la Piazza a spese dell’opera di detta chiesa; e le donne che vendono pane devono portare detti sassi radunati e immondizie a Lave del Campo. E se tali donne non riusciranno a portare in un giorno tutta l’immondizia radunata, i procuratori dovranno farla portare a spese dell’opera di detta chiesa. Quando alcuni uomini andranno a curare il porto in acqua dentro il molo, allora i procuratori della fabbrica di Santa Maria devono provvedere a dare loro un po’ di vino, secondo il numero degli uomini che lavorano, ovvero a volontà dei procuratori dei beni dell’opera di tale chiesa. Se i procuratori predetti vorranno chiedere ai comandanti di una nave, o altra imbarcazione o della compagnia che qualcuno provveda all’opera della chiesa di Santa Maria, avranno il potere di chiederne quella parte che provveda a detta opera; e i comandanti di tale imbarcazione o compagnia non possono sostituirsi con altro uomo, se non per volontà dei procuratori; e tali comandanti sono tenuti a costituire detta parte, e sono tenuti a rispondere a detti procuratori e a costituire. E se presso alcuno si trovasse o ci fosse una parte che provvedesse a tale opera, e i procuratori volessero rinunciare ai comandanti, e tenere presso di sé (al posto di) coloro che avesse quello che provvederà a tale opera, lo possono fare; e quelli presso cui si trovasse colui che provvederà a tale opera, sono tenuti a rispondere a detto procuratore e costituire detta parte. E tutto ciò che sarà necessario per la chiesa di Santa Maria per opere e tesoro e per libri da restaurare e fare nuovi, e per le campane e tutto ciò che servirà, deve farlo l’opera dalla chiesa di Santa Maria a sue spese.

27. Ufficio del protomaestro dell’opera della chiesa di Santa Maria e ciò che riceve - Si noti che ciò che il protomaestro che al tempo è all’opera della chiesa di Santa Maria Maggiore, è tenuto col giuramento ad andare, se fosse chiamato da un uomo di Ragusa, laico o chierico, a dare consiglio circa qualche lavoro e a dividere la casa o le case. E se alcun nobile uomo o donna di Ragusa morisse, detto protomaestro deve andare ad aprire e chiudere la sepoltura, e i procuratori che al tempo sono in detta chiesa non possono né devono impedirlo al protomaestro. E se alcuno chiedesse al detto protomaestro calce per la sepoltura, e la chiesa di Santa Maria ce l’avesse, gliela dovrà dare e non deve essere impedito dai procuratori. E quando i maestri lavorassero dentro la chiesa di Santa Maria e posassero le lapidi nella fabbrica con la calce, il protomaestro deve avere sei follari per il vino ogni giorno, o ognuno dei maestri deve avere per il vino tre follari. E se il comune di Ragusa volesse fare alcun lavoro in pietra, il protomaestro e gli altri maestri che al tempo sono nella chiesa di Santa Maria, se fossero chiamati, devono andare a lavorare per il comune a spese del Comune. Poi il protomaestro della fabbrica della chiesa di Santa Maria deve avere la metà di tutti i pesci che vanno ai procuratori, ossia dalle parti di quelli, secondo ciò che nel soprascritto capitolo dei procuratori è contenuto; se i procuratori avessero sei pesci, il protomaestro deve averne di essi tre, e altrettanto se fossero più. Poi detto protomaestro deve avere da essi procuratori a Natale un maiale o un iperpero, come piacerà ai procuratori o l’iperpero o il maiale; e dovranno essere dati tra i beni della chiesa. E a Pasqua gli daranno similmente un castrato, o mezzo iperpero a loro volontà. E per l’anno nuovo detti procuratori gli daranno per le calende due grossi.

28. Ciò che i maestri che lavorano nella chiesa di Santa Maria ricevono dai procuratori della detta chiesa - A ciascuno dei maestri che abbia lavorato nella chiesa di Santa Maria, i procuratori della fabbrica di detta chiesa devono dare, a Natale, un quarto di maiale o tre carobe di follaro; e a Pasqua, similmente un quarto di castrato o due carobe di follaro, e ciò a scelta dei procuratori, se vorranno, dei beni della chiesa; e per l’anno nuovo per le calende dodici milliarensi.

29. Ufficio del vicario - L’ufficio del vicario del signor conte che al tempo fosse a Ragusa, è tale: ossia egli deve ordinare ogni giorno ciò che i servitori del signor conte porranno sulla mensa del signor conte a pranzo, e ci deve stare soltanto quanto il signor conte si pone a mangiare, se questa è la volontà del signor conte. E quando il signor conte tiene udienza plenaria e sta ritto in piedi, allora il vicario deve stare ritto in piedi; e quando il signor conte si mette a sedere, allora il vicario se lo vorrà potrà sedere. E se il signor conte vuole mandare il vicario o altro uomo al suo servizio e al servizio del Comune, allora il vicario è tenuto ad andare a Ragusa o nel suo distretto. E se egli andasse fuori Ragusa al servizio del signor Conte, allora deve andare a spese del signor conte; e se andasse per un negozio del Comune, allora deve andare a spese del Comune. E anche a Natale quando il signor conte permette di pescare a Ombla, il vicario deve andare con i pescatori, se il signor conte non lo comanda. E deve fedelmente conservare tutte le entrate del Comitato di Ragusa e l’onore della città. E se un macellaio o pescatore non vuole dare la parte al Comitato, il vicario deve fare giustizia, e deve invitare tanti uomini che prestano lavoro gratis quanti il signor conte gli comanda al servizio del Comune. E il vicario deve dare le calende ai chierici. E non può il vicario essere teste in nessuna causa a vantaggio del Comitato.

30. Ciò che riceve il vicario - Il vicario che ci fosse al tempo riceva da tutte le tasse per le causa, dall’arboratico e da tutte le famiglie, secondo l’antica consuetudine, la decima parte; le tasse per le cause tuttavia da un iperpero in giù e tutto il moggiatico siano del vicario. E per il suo salario annualmente ventitre iperperi, e ogni domenica dal signor conte una coscia di carne della macelleria. Dai pescatori poi di lanzardi o suri, la metà di quanto riceva il signor conte, ossia quando il signor conte riceve sei pesci, il vicario da essi riceve tre pesci; similmente dalla barca delle aguglie. E se la barca verrà con la lampara, il vicario riceverà un ceppo comune. Così della vacca di margarisio riceva la pelle e le animelle. Dalle barche che vanno a pesca dalla porta di Stagno verso ponente con le reti e ci rimangono per tre notti, riceva da ogni barca un pesce salato comune. Il vicario può anche custodire l’acqua di Ombla per otto giorni prima della Epifania, e alla vigilia fare pescare per sé.
Si aggiunge che il vicario è tenuto a pagare il dazio per il vino, e fare prestito, e pagare collette ossia l’avedatico, come tutti i ragusei.

31. Diritti dei provveditori all’annona - Si noti che il provveditore dell’annona che al tempo fosse al servizio del Comune di Ragusa, deve avere da ciascuna nave o altra imbarcazione che arriva a Ragusa con frumento, grano e sale, e ne porta parte al signor arcivescovo, la metà di quanto riceve il signor arcivescovo, secondo ciò che riceve il sacrista della chiesa di Santa Maria, sia di sale che di frumento e grano. E poi il provveditore dell’annona deve dividere detta parte per metà in due parti; una parte la riceverà il provveditore dell’annona per sé, e l’altra la divideranno i banditori tra di loro.

32. Ufficio dei banditori - I banditori che al tempo sono al servizio del Comune di Ragusa, sono tenuti ad andare e fare ogni servizio che il signor conte comanderà loro, sia al suo servizio che al servizio del Comune in città e nel distretto di Ragusa. E sono tenuti a custodire e denunciare e manifestare tutte le ragioni dal signor conte e al comitato di Ragusa e al Comune; e anche sono tenuti a conservare tutte le cose in contestazione che non devono venire a Ragusa, affinché non vengano. E devono osservare tutti i comandi del vicario, che spettano loro per l’utilità e l’onore del signor conte e del Comune di Ragusa.

33. Ciò che ricevono i banditori - Si manterrà il regolamento che ogni banditore avrà dal Comune per il suo salario ogni anno tre iperperi e una slavina per veste; noi correttori ordiniamo che ogni banditore abbia annualmente per salario dal Comune dieci iperperi e non di più. La tassa per la sosta dei forestieri vada in comune a tutti i banditori, e i forestieri daranno loro il sostatico che si paga per l’arboratico; le tasse di causa poi da dieci milliarensi in giù sono dei banditori cui vengono date. E se il banditore andrà a portare una croce nelle vigne o in terra, o a contraddire, o andrà fuori Ragusa per il contado per convocare qualcuno in udienza, avrà da tre carobe in giù, secondo ciò che potrà concordare con chi lo ha mandato. Tali banditori avranno anche da ogni nave o altra imbarcazione, che arriverà a Ragusa con frumento o grano o sale, e ne porterà parte al signor arcivescovo, tanto quanto il provveditore all’annona, e lo divideranno in comune tra di loro. Della vacca di margarisio avranno la testa e le interiora.

34. Ciò che viene dato ai banditori per ogni incarico - Quando il banditore viene mandato a convocare qualcuno avanti la Curia, se non lo troverà, affinché nuovamente lo chiami e lo convochi, di nuovo chiederà di essere soddisfatto, per il disturbo agli uomini che litigano avanti la Curia; perciò statuiamo che per ogni mandato che abbia fatto il banditore presso la Curia Maggiore in città, riceva due follari, e presso la Curia Minore un follaro; tuttavia se , ricevuti due follari o uno, non troverà colui che cercava, e se non esegue egli il mandato, è tenuto ad andare ovunque sia richiesto finchè assolva il suo mandato senza altro pagamento, e ciò se chi deve cercare fosse in città.


Termina il Libro Primo, inizia il Secondo.


(traduzione di Monica Zamparutti Caracci)
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